IL MAGO
Non sarebbero bastate parole a descrivere quel mago tanto singolare: capelli bianchi, lisci, appena fino alla nuca, leggermente le ciocche sollevate sulla parte alta della testa e il bello è che l’avevo già incontrato tante volte, ma mai l’avevo osservato, mai mi ero soffermata!
I colori preferiti da lui: l’azzurro chiaro e il blu scuro e azzurra era quasi sempre la sua camicia fresca a mezze maniche fermate da un bottoncino dello stesso colore, ma leggermente più chiaro; blu scuro erano i pantaloni che preferiva indossare.
Le braccia abbronzate, la grande vena come fiume che solcava la mano…non era facile farlo arrabbiare a me sembrava impossibile; certo a meno che…
Da tempo aveva deciso di vivere nell’ampia stanza dove non c’erano finestre, solo la grande porta dipinta di marrone, di legno, con un fiore scolpito nel centro preciso. Ogni mattina girava la grande chiave di ferro pesante nella serratura, spingeva prima la mezza porta poi, la grande porta ed entrava nella stanza dal pavimento squadrato di pietre grigie.
Si muoveva, appena un attimo e poi, con la paletta di ferro apriva la parte alta della porta divisa da due sportelli di legno e dalle inferriate.
Le pentole erano libere di stare alle pareti, attaccate a chiodoni e tutti i coperchi lì a bella mostra, dorso sul muro e manico sulla fune che faceva come d’altalena e alla quale erano attaccate anche il romaiolo e il cucchiaio dai grandi buchi.
Il suo portafortuna, nelle stagioni calde, un cucuzzune verde, rotondo, dalle venature ora più scure, ora più chiare, messo lì sulla mensola, tutta di mattonelle bianche rettangolari, che coprivano il focolare eternamente nero, fuligginoso.
Vicino, attaccata di lato, nella parte bassa del lavandino tutto di pietrine piccole piccole sul grigio perla la pentola delle pozioni, nera, nera e quella paletta di ferro dai 100 usi.
La tavola grande rettangolare, robustissima dove teneva disperse tante cose: il vaso trasparente dello zucchero con il coperchio d’argento, la scatola di cartone piccola, rettangolare perfetta col sale dentro, il bicchiere alto col caffè nero dentro e gli occhiali dalla montatura di tartaruga con l’asticciola destra pendente che li facevano traballare sul naso, ma lui non ci badava tanto poche erano le volte che li usava: i suoi occhi ne avevano viste di cose nella vita! E ora diceva non poteva portare, come li chiamava lui dei vetri appannati.
L’acqua, appena apriva la fontanella: fresca quasi, ghiacciata e il “bacile” di smalto a rose rosse fuoco dipinto, un po’ scorticato dove l’acqua creava lo specchio per cose future.
Il mago ha una dote singolare
“Non guardo il sole o le stelle mi regolo non ho mai avuto orologio,
con la testa mia mi regolo”.
Il mago della storia-diario che ho la gioia di raccontare è Nonno Cesare.
Lui racconta se stesso nella forma dialettale, io, lasciando solo poche parole in dialetto, modi di esprimersi come i verbi in fondo trascrivo tutto in lingua.
Ho usato la prima persona perché è proprio nonno Cesare il protagonista: narratore ed artefice dei suoi 86 anni di vita.
Carmelina Rotundo
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