Il testo consta di due parti:
- racconto-articolo dell'inaugurazione della biblioteca "L. Gori" il 1° aprile del 2001;
- diario-testimonianza del vivere nel quartiere 4 dove arriva nell'agosto del 1972, per rimanervi fino al 1986.
- Primo anno di insegnamento alla scuola della Montagnola, quando incontro il maestro Luciano Gori (è disponibile la foto del 1° anno di insegnamento alla Montagnola con le firme in originale degli alunni).
- Pubblicazione nel 1978 e 1981 di due volumi di poesia, dei quali il secondo (Permette una poesia?) si apre con una poesia allo scultore Quinto Martini, la cui famiglia donerà varie opere alla sede del quartiere 4.
1. Inaugurazione di nuovi locali della storica biblioteca dell'Isolotto "L. Gori" il 1° aprile del 2001
Non era passato un giorno, neppure un mese, neppure un anno neppure dieci anni ne erano passati TRENTA dalla prima volta che ero approdata a Firenze e più precisamente in via dell'Argin Grosso vicino all'Isolotto, quartiere di cui però a Perugia si seguivano le vicende legate a don Mazzi, un quartiere in fermento …e ne erano passati VENTOTTO dal 1973, primo anno che luciana introduceva " ufficialmente" nel mondo del lavoro, come maestra alla Montagnola.
Mi piaceva arrampicarmi sul Bussone verde, a due piani, per arrivare a scuola e rifare il percorso inverso verso casa per il Viale dei Bambini e quello dei Pini.
Quelle passeggiate tra il verde sono ritornate a piacermi quando, da Badia a Settimo andavo alla Pieve dove si trova la scuola oggi denominata Aldo Pettini (che raggiungo da questo 2001 comodamente con l'efficientissimo e puntualissimo servizio del Personalbus).
Oggi 1° Aprile 2001 ritornavo alla "Montagnola" e, scendendo dal Bus numero 26, avevo voluto rifare il percorso fermandomi all'edicola dei giornali in Piazza dei Tigli vicino alla "Montagnola"; qui il primo incontro con il passato; al chiosco c'è il papà e la figlia, mia ex alunna della scuola elementare; sono loro a gestire l'edicola; un abbraccio ed un tuffo al cuore!
Quanti anni sono trascorsi? E' proprio vero. il tempo è galantuomo e passa senza far rumore.
Dall'edificio entro nei giardini e per il Viale dei Bambini, superata la chiesa, nel viale dei Pini dove c'è la Biblioteca.
L'animazione è grande: intere famiglie, nonni, genitori, bambini sono presenti; mi unisco a loro, cercando con lo sguardo persone conosciute.
Incontro il direttore della Biblioteca Martini, il gentilissimo signor Sandro Bonechi, Fuad Aziz, artista dei "volti " (uno dei quali scolpito si trova di fronte al nuovo Comune di Scandicci) illustratore ed autore di libri per bambini e Raffaella, pittrice dei "sogni".
Insieme ci fermiamo ad ascoltare le parole di Eros Cruccolini, presidente del quartiere 4, e del primo cittadino di Firenze, Leonardo Domenici.
La parte inaugurata si apre all'utenza degli universitari; circa un centinaio quelli presenti nel quartiere, come luogo di dialogo e di incontro fra culture: due obiettivi da sempre perseguiti in questa biblioteca che vuol essere stimolo per una partecipazione attiva degli utenti per fare " cultura" insieme convinti che è nell'unità la forza per affrontare le sfide della società sempre più tecnologia …
" Questa biblioteca porta il nome di Luciano Gori "sta parlando Eros Cruccolini
"un nome, un solo nome ".
Mi si affaccia alla memoria il "cubo "di cartongesso, costruito dopo quasi un mese di scuola nel 1973, in cui c'eravamo noi: la maestra Carmelina e gli alunni di una classe prima, altrimenti destinata a turni pomeridiani, non considerati idonei dai genitori che tanto fecero finché non videro realizzato il sogno di mandare a scuola i propri figli la mattina.
Io ero in mezzo a delle classi "vere" tra quelle del maestro Maestrini e quella del maestro Luciano Gori (Il direttore, mi ricordo, mi raccomandò di stare in equilibrio, di non pendere da una parte o dall'altra perché i due, a quanto pare, erano su fronti sindicalmente opposti).
Ero troppo timida, chiusa troppo "preoccupata" di questa nuova esperienza per riuscire ad uscire dall'aula; i contatti con i colleghi non erano come si auspica in questa nuova scuola dell'autonomia; erano più di buona educazione; l'insegnante era il "solo" in classe ed il lavoro in "team" era lontano a venire; fatto sta che non approfondìi nessuna delle conoscenze con i colleghi. anche se al contrario i miei rapporti con gli alunni furono tanto curati che con alcuni di loro ancora ho avuto modo di incontrarmi (Gianni Nobile, Demetrio che mi hanno insegnato il primo l'amore per i profumi e l'altro l'amore per i fiori).
Ci accodiamo dietro il primo cittadino di Firenze per visitare le varie sale. Il caso vuole che mi si affianchi una signora con la quale continuo a voce alta, quasi seguendo il filo dei ricordi.
" Allora questa biblioteca è intitolata a Luciano Gori, lui è stato mio collega " (e lei senza lasciarmi finire) " Io sono la sorella "! e con amorevole gentilezza mi fa veder il libro intitolato al fratello a dieci anni dalla morte che porta la data del 1995, la foto di lui in classe; i poster colorati realizzati con gli alunni e con un lavoro lungo e paziente restaurati amorevolmente da lei, " Venga a vedere il film dove sono raccontate le opere realizzate da Luciano per i bambini".
Stava diventando un giorno davvero speciale questo primo di Aprile, venuto di Domenica e di cui mi ero un po' rammaricata per non aver potuto ritrovarmi con qualche pesce attaccato alle spalle dai bambini a scuola.
Il giardino dove di solito si riuniscono i lettori, il Bibliobus, geniale trovata che porta i libri a tutti il sole di primavera mi riporta alla realtà Sara e Nadia mi stanno aspettando per andare, insieme a Maria Bufalo e Maria Teresa, alla Villa Caruso di Lastra a Signa per assistere al Concerto dove partecipa il piccolo Alessio Attanasio di sei anni, figlio della mia amica Yvonne DiPalma, felice incontro con la mia carissima amica Renata Mari.
Una corsa per riprendere l'autobus, sempre il numero 9, ma non più a due piani non più quello verde, ma l'arancione lungo a serpentone.
Questa "storica" giornata è stata pubblicata su AGHI-DI-PINO, quadrimestrale dell'Associazione Lib (e) ramente- amici della Biblioteca Luciano Gori (Anno I° num.1)
2. Diario-testimonianza del mio vivere nel quartiere 4 dove sono arrivata nell'agosto del 1972, per rimanervi fino al 1986.
Avevo diciassette anni e mezzo quando il 7 Agosto 1971 arrivai a Firenze.
Era questa la prima volta che vedevo la città.
Papà vi era stato trasferito per motivi di lavoro già da Febbraio, ma Cesare ed io eravamo rimasti con mamma a Perugia per non interrompere bruscamente un anno scolastico.
Per decisione unanime dei genitori infatti troppi cambiamenti, di ambiente, di compagni, di professori avrebbero potuto crearci delle difficoltà.
Il babbo intanto aveva trovato casa, un appartamento confortevole, ma la mamma era stanca e contrariata, le tende non andavano più bene, le misure non tornavano, non aveva potuto portare le grandi piante che aveva in salotto e questo contribuiva a renderla più triste.
Mia madre ha sempre amato moltissimo i fiori, le piante in genere "Rosario (furono quelle le parole di mamma) lascia stare quelle scatole! Non le aprire per adesso!
La capivo; era la terza volta che cambiavamo città e casa e forse lei stava pensando che non sarebbe stata l'ultima.
La mia stanza tutta ribaltata non mi piaceva più ; il lettino, la poltroncina rossa e il comodino, sempre di colore rosso erano ora sommersi tra l'armadio marrone scuro la libreria e la scrivania di cui si era rotto il piano di vetro (ancora oggi non rimesso!).
Mi divertivo allora a guardare fuori dalla finestra, da dove si vede il grande argine ed al di là il fiume strane macchine lavoravano sempre per mettere e rimettere la terra.
Ero triste perché avevo lasciato le mie 30 compagne di scuola (in classe eravamo 31) i professori
l'amica del cuore.
Come farò a conoscere altre persone?
Quell'argine non mi dava risposta; sembrava un deserto.
Comprai subito un pacco di carta da lettere ed una scatola di buste colorate, anzi le buste me le regalò papà ,dando inizio ad una tradizione che ha sempre continuato.
Scrivevo, scrivevo lunghissime "cose" che forse nessuno avrà avuto il coraggio di leggere ed andavo a imbucarle in via Torcicoda.
Il primo tratto di strada a Firenze fu da casa mia alla buca della posta; penso che riguardo ai francobolli il Ministero delle poste mi dovrebbe una medaglia di cartone!
Avevo lasciato gli amici proprio durante le festa dei diciotto anni di Francesco; questi festeggiamenti erano molto in voga.
Io gli avevo regalato una piccola tartaruga d'acqua in una deliziosa vaschetta e così spesso gli chiedevo notizie di quella.
Realizzai allora i miei primi ed ultimi tentativi, non so se definirli di disegno: due angioletti per la mia cameretta che oggi ho io in camera; un fiume con i sassi (in quel periodo le forme bizzarre dei sassi mi attraevano molto); un palo con i panni stesi; la mia vita l'intitolai allora, un paesaggio, delle casette tra due alberi privi di foglie che ho regalato ad una famiglia amica: a Romano Balatri che insieme alla moglie Carla e al figlio Andrea gestiscono le oreficerie in Via de' Cerretani.
Dopo, eccezion fatta per una volta soltanto in cui espressi "la felicità" sotto forma di piccoli coloratissimi fiori, non ho più rifatto questi tentativi.
Cominciai con le lettere e continuai a scrivere.
La prima cosa la intitolai Compianto funebre adeguato al clima, si intende.
COMPIANTO FUNEBRE
Poverino, grandi pianti, lacrime
e frasi disperate. Così giovane,
così bello ed è finito così
poverino, poverino.
E intanto il morto pensava
tra sé, solo tra sé finalmente
ce l'ho fatta un po' tranquillo
io sarò, accidenti a loro.
Genitori e parenti lo compiangevano
tristemente, gente di ogni
parte venuta a vedere uno che
in fondo fatto naturale è
morto!
Ma che frastuono, ma che
confusione pensava intanto
il morto, si vede che dovevo
morire per attrarre l'attenzione.
Compianti, fasi tristi, ma
se tutti avessero pensato a
rendere la mia vita e la loro vita
più serena, ora non sarei
così contento di morire.
Lasciamolo da solo
finalmente una cosa sensata
diceva il morto fra sé, sento dire.
Passiamo all'altra stanza
continuava la gente a
domani il funerale, alle
quindici di domani, e pensare che
era tanto buono tanto bravo
come lui non ce n'erano
continuavano.
E il morto diceva: accidenti
a loro durante la mia vita
nessuno mi ha fatto tanti
elogi, nessuno si è preoccupato
di me ora pensano a
me, solo perché son morto.
La notte passò tranquilla
meno il suono di qualcuno
che piangeva e che forse era
sincero. All'indomanI
grandi suoni di campane
che fracasso, che frastuono,
nemmeno adesso che son
morto vogliono lasciarmi in
pace, un po' tranquillo.
Mah! si vede che dovevo essere
morto per attrarre l'attenzione
e alle quindici comincia l'ultima
parata della mia esistenza.
Gente con ombrelli borsette
e vestiti tutti nuovi per farsi
notare, cappelli e volto
triste. Ma che teatro, che
fantocci ci sono al mondo,
l'unico vero è quel
morto che dall'alto della sua
bara chiusa non vede più nulla
e forse è meglio così.
Era caldo la città deserta, molte case chiuse, campagna dopo poche abitazioni costruite, oggi a breve distanza di tempo la zona non si riconosce più.
Intanto mi arrivava una lettera da Perugia,
"Cà stava bene"
( Cà era il nome che Francesco aveva dato alla tartaruga che gli avevo regalata).
Pensai di prendere allora quello strano bus verde a due piani per scoprire FIRENZE
Fare la turista mi allettava, ma non da sola e mio fratello Cesare fu quasi costretto, ancora oggi non so se per forza o per amore, ad accompagnarmi.
I sedili in alto, i primi erano i nostri preferiti: da lassù si vedeva benissimo ogni cosa: la strada, la gente.
Io, come sorella maggiore. naturalmente avevo in mano la situazione o almeno credevo con la cartina. feci il primo tentativo di guida turistica,
" Vedi. Cesare. questo è palazzo Pitti, le sue pietre " continuavo nella lettura con tanta convinzione e ad alta voce che un signore si fermò e subito mi interruppe:" Guardi che questo è Palazzo Strozzi!"
Fu questa una buona occasione che Cesare forse aspettava e non se la lasciò sfuggire.
Mi prese un po' in giro e mi ricordò che per senso di orientamento avevo riconfermato la mia vocazione: zero
Per alcuni giorni di gite non se ne parlò più; tornai alle mie scritture. più sicure da incidenti del genere.
La curiosità era però aumentata e ben presto ricominciarono le scorribande per Firenze.
Cesare questa volta era lui a tenere la cartina ed a guidarmi :lui per orientarsi è sempre stato un asso, gli basta una volta per ricordarsi le strade per sempre.
Io leggevo dalle guide : non so quante ne comprai perché nessuna mi sembrava abbastanza completa . Insomma ne facevo, la collezione.
Ora sì decisamente con questo tipo di organizzazione andava molto meglio: le cose giuste davanti ai palazzi giusti .
Di persone però nemmeno l'ombra. Voglio dire di fiorentini tutti o quasi erano turisti come noi. Presi allora l' abitudine di rivolgermi ai vigili urbani e, sì , penso che da allora essi incominciarono a pretendere una maggiorazione dello stipendio!
Scherzi a parte, era l'unico contatto con gli italiani.
Piazza Duomo Ponte vecchio Palazzo Pitti Boboli.
Qui a Boboli, appena uscita dal cortile interno, fui letteralmente abbagliata dalla bellezza e dalla eleganza di questo spazio Mi fermai e mi misi seduta sul muretto quello di fianco alla Fontana del Carciofo;. rimasi tanto tempo lì immobile.
Cesare che è stato la prima persona, oggi lo so per certo,che capiva queste mie emozioni, questi miei strani desideri di comunicare con le cose, non aveva detto nulla., mi aveva lasciata per girare tutto il giardino ed era tornato.
Io intanto avevo fatto il proposito di rivedere Boboli subito il giorno dopo per paura quasi di perderlo (queste paure e queste ansie qualche volta mi ritornano per le cose della vita).
Intanto maturava la mia decisione di inscrivermi all'Università, se non altro lì avrei conosciuto delle persone, avrei fatto amicizie.
Per la scelta della facoltà fu un caso e così mi trovai inscritta a lingue e letterature straniere.
In fondo al cuore, però io sapevo perché lo facevo allora non lo dissi nemmeno a me stessa ad alta voce per paura che qualcuno scoprisse tutto, ma oggi quel segreto voglio svelarlo.
La mia famiglia era sempre molto severa per concedermi la libertà di uscire ma se c'erano delle motivazioni allora e solo allora decidevano di dire SI'
Studiare lingue mi avrebbe portato necessariamente a viaggiare ad incontrare gente, ad uscire; insomma era la mia speranza di libertà.
Non vedevo perciò l'ora che iniziassero le lezioni . Invece il primo anno bisognava aspettare Novembre
Ccrto che dopo, questo desiderio non l'ho più avuto.
Da Perugia ad Ottobre venne la mia madrina Chiara Battistoni con tutta la famiglia; io ero attaccata a lei e le volevo molto bene, come ancora oggi, poi arrivò anche l'amica del cuore tutta la famiglia Genovese, Francesco Genovese (oggi purtroppo scomparso) che ha tanto aiutato mio fratello nel suo periodo difficile.
Che soddisfazione presentare loro questa meravigliosa città : Firenze è sempre un incanto!
A Novembre, come fu e come non fu, incominciai ad andare all'Università.
Sostenni tre esami : intanto usciva il bando per il concorso magistrale.
Frequentai allora un corso serale fino alle ore undici , papà mi veniva a prendere per la preparazione; insegnare ai bambini era stato un mio sogno.
Le mamme del palazzo dove vivevo a Perugia mi ricordo che già, da quando avevo 12 anni mi affidavano volentieri i loro figli : due, Catia e Carlo, erano quasi fissi.
Li portavo direttamente al piazzale del Convento dei frati cappuccini.
Si giocava con i sassolini bianchi quanti ce n'erano con l'erba e poi alle cinque precise tiravo fuori dal sacchetto uno sfilatino gigante che la mamma sempre mi preparava con tante buonissime cosine e mangiavo.
Oggi, ripensandoci penso che le mamme mi affidavano quei bambini, poco più piccoli di me, sette e nove anni perché davo, loro un buon esempio di non fare storie per mangiare e non pensassero minimamente alle mie aspirazioni.
Ma a quell'età mi piaceva tanto illudermi e pensare che ero " maestra ".
Ritorniamo però al bando del concorso magistrale.
La situazione nel 1972 era abbastanza buona. Sì c'erano tanti concorrenti, ma anche qualche possibilità, cosa oggi quasi scomparsa.
Feci tutte le prove lo scritto, gli orali ed accantonai l'idea della maestra per riprendere la preparazione del quarto esame all'Università .
Dopo pochi mesi ebbi un colloquio con mio padre io ero seduta alla scrivania, lui aveva aperta la porta di camera mia.
" Sei andata al Provveditorato ? "
No, papà. lo sai devo studiare
" Domani mattina passaci per favore "
Ma dai, papà, che cosa devo farci ? perché non ci passi tu?
" Domattina vacci è successo qualcosa "
Va bene.
La mattina passai da via Alamanni.
Al piano terreno del Provveditorato agli Studi erano usciti i risultati: io ero tra i vincitori del concorso magistrale.
Tornai a casa e d'istinto corsi in camera mia . Dal primo cassetto della mia scrivania tirai fuori il libretto a fisarmonica azzurro e lessi dei tre esami.
" Smetto o non smetto l'Università ?Ora avrò tanti più impegni insegnando ?
Ma sì , smetto "
Parlai con mia madre e lei mi disse di fare ciò che volevo, di decidere io, ma segretamente, lo
capivo dalla sua voce, le sarebbe dispiaciuto molto se avessi abbandonato i miei studi.
Non dissi nulla ad alta voce ma decisi in cuor mio di continuare strada facendo avrei visto
il da farsi.
Il primo anno di " maestra" fu una assegnazione provvisoria vicino a casa alla Montagnola.
Avevo una prima elementare, di pomeriggio.
I genitori costatando però che durante questo orario i loro figli erano stanchi e per tanti altri motivi tanto fecero e tanto dissero che a Novembre il turno fu spostato di mattina.
Come?
Provvedendo a creare col compensato un'aula nel mezzo del corridoio.
Quella classe fu meravigliosa!
Per me e per loro era la prima volta.
E questo che sto per raccontarvi non è una barzelletta. ma la verità !
Il primo giorno che mi trovai dalla parte della cattedra e di fronte agli alunni dissi :
Su da bravi. ognuno si presenti: scriva sul quaderno il proprio nome e venga a farmelo
vedere ".
Ci fu un attimo di silenzio, pensai, di concentrazione ed il primo ad alzarsi per farmi vedere il quaderno fu Giacomo.
Su due pagine campeggiava un segno tutto arricciolato. Io guardai il quaderno e rivolgendomi a lui gli chiesi : Ma che cosa c'è scritto?
Giacomo mi guardò solo per un attimo con quei suoi occhioni azzurri ed in tono quasi di compassione come per dire " ma non sa neppure leggere" mi rispose:
"Ma, come, qui c'è scritto Giacomo !"
Mentre tornava a posto capìi il mio sbaglio.
La richiesta che avevo fatto, il silenzio dei bambini, il tono di voce di Giacomo non lasciavano dubbi.
Come potevo pretender da loro di saper già scrivere se venivano per imparare a farlo?
Per imparare da me? Mi rimboccai le maniche e da allora cominciò la mia storia di maestra.
Il tempo per dedicarmi a Firenze diminuì anzi non c'era.
La mattina insegnavo; il pomeriggio a prendere le lezioni tutte quelle che potevo e la sera a studiare.
L'unico itinerario che facevo nel centro era da via San Gallo, di corsa a Via del Parione e viceversa perché in queste due sedi si svolgevano le lezioni.
Qualche volta davo una sbirciatina al Duomo, al Battistero niente di più.
L'esperienza umana vissuta con quei bambini fu però meravigliosa e mi ricompensò di tutto.
Mi affezionai tantissimo a loro che l'ultimo giorno di scuola quasi non volevo lasciarli , mi sembrava una grande ingiustizia dovermi separare da loro.
Quante cose mi avevano insegnato!
Demetrio aveva fatto sì che in me nascesse l'amore per i fiori e non c'era giorno che non mi portasse un fiore.
Delle volte arrivava tutto di corsa con dei rami pieni di foglie, di petali, quasi correva;
" Sono per te, maestra!" I suoi neri occhi erano pieni d'amore e di sincerità.
Gianni mi faceva arrabbiare per il suo comportamento ; era vivace, ma quanta timidezza nascondeva tutto ciò. I suoi piccoli profumini, con che gentilezza e delicatezza me li portava!
Tutti, tutti erano molto cari; sono passati sedici anni ed ognuno di loro sicuramente avrà, spero, realizzato le sue aspirazioni, ma io me li ricorderò sempre come li ho conosciuti la prima volta, quando avevano sei anni.
Il secondo anno andai trasferita alla scuola Guglielmo Marconi in via Enrico Mayer a Firenze.
Una quinta di ragazzi in gamba L'insegnante che mi aveva preceduta era andata in pensione e
toccava a me concludere il ciclo.
Erano compostissimi, alla ricreazione tiravano fuori il loro tovagliolino, lo mettevano sul bancoe in silenzio mangiavano; erano stati così abituati.
Mi piacevano queste buone abitudini, ma desideravo che giocassero, che si divertissero un po'.
I maschi scelsero il pallone, io facevo l'arbitro, ma dalla compostezza alla confusione e così capitava spesso che arrivava qualche calciata all'arbitro.
Stabilìi allora delle regole ben precise
" Chi toccava l'arbitro era espulso!"
Si giunse ad un equilibrio accettabile; tutti stavano attenti a non calciare l'arbitro.
Le femmine giocavano di rado al pallone, ma mi aiutavano molto nelle decisioni, nei punteggi.
Intanto non avevo perso l'abitudine di mangiare dei gustosi panini.alle 10,30 questa volta.
Cosa questa molto curiosa per i bambini e ben presto la scoprìi.
In un tema dal titolo Chiacchiere e scenette durante la ricreazione Arianna scrisse ( mi aveva educatamente chiesto se poteva parlare di me)
".. e cosa veramente strana che non ho mai visto fare a nessuna maestra. prima d'ora; la nostra insegnante, appena suona la campanella della ricreazione, tira fuori un panino gigante e se lo mangia TUTTO !! "
Eh, sì, c'erano molte diversità che scoprivamo rispetto agli anni precedenti, alcune positive, alcune
negative. Ricevetti, allora usava, la visita di controllo del direttore Michele Solimando ( purtroppo oggi scomparso )
" Dov'è la vostra maestra ?" chiese entrando .
Io che mi stavo mettendo le scarpette da ginnastica per portarmi in palestra mi presento:
" Sono io "
Non è bugia ciò che scrivo, ma Solimando rispose " ..la avevo confusa tra gli allievi".
Ero seduta tra i banchi, infatti, e poi con le scarpette basse!
Andammo tutti in palestra, come programmato e dopo in classe.
Il direttore volle vedere qualche quaderno. Gli piaceva molto la matematica ed espresse così il desiderio di interrogare qualcuno.
Un tuffo al cuore! Eh,sì proprio in matematica l'asino cade!
Ma fortuna volle (oggi lo posso rivelare) che chiamò il più bravo quello che in conti ed in frazioni ne sapeva più di me e con quanta velocità rispondeva.
" Se sono tutti così ! " Mi guardò Solimando molto soddisfatto,
" Se vuole continuare, faccia pure "
" No, no, va benissimo così "
E, salutando me e tutti gli allievi, uscì.
Ritornai alla cattedra e per un attimo mi sembrò d'incontrare contemporaneamente tutti gli sguardi dei miei alunni.
Mi davano coraggio, sembravano dire " ce l'abbiamo fatta !"
All'Università continuavo a studiare ; tempo per costruire amicizie non c'era ed io che invece avevo sognato grandi viaggi, grandi incontri.
Al terzo anno di insegnamento mi fu assegnata la sede definitiva a Montemurlo.
Per arrivarci mi alzavo molto presto; prendevo l'autobus 9, poi il treno poi la CAP.
La cosa a cui subito mi affezionai era la luna che spesso mi faceva compagnia alla fermata dell'autobus.
A Prato il piccolo tratto di strada tra la Stazione e il Duomo lo avevo chiamato " il frigorifero" tanto mi sembrava ghiacciato, ma la pasticceria proprio alla fermata della CAP era una dolce, dolcissima tentazione.
Arrivavo a scuola e sentivo la necessità di sbocconcellare qualche biscotto.
La classe era una prima di 31 scolari più vispi che mai.
Delle volte al suono della campanella mi trovavo con qualche biscotto ed allora anche per una frazione di minuto ne approfittavano per far confusione.
Una mattina mi decisi a parlare:
" La maestra,prima di arrivare da voi, fa un lungo viaggio e voi che fate, appena arrivate ?
L'unica cosa di cui vi preoccupate è di chiacchierare "
Da allora aspettavano in silenzio che finissi i biscotti, anzi li vedevo che tra loro, dicevano:
"Stiamo tutti zitti altrimenti la maestra si può anche ammalare.fa tanta strada per venire da noi ..e , se manca lei , chissà chi ci manderanno ?".
Avevo la classe più vicina alla porta e così un giorno la custode mi chiese un favore.
" Faccio una scappatina a casa, mio marito è malato. Le lascio le chiavi; in caso qualcuno suoni per favore apra, stia attenta però . si accerti sempre chi è".
Di lì a cinque minuti suona il campanello (caso fatale, stavo mettendomi le scarpette da ginnastica) vado ad aprire ed il signore alla porta mi dice chiaramente che vorrebbe visitare la scuola.
Io lo guardo e sempre tenendo socchiusa la porta, senza dargli nessuna possibilità di entrare gli dico : "Guardi che la custode ora non c'è, potrebbe ritornare più tardi .. sa, io ho la classe"
Mi guardò e parlò :Ah! Lei è una insegnante Io sono il Sindaco di Montemurlo".
Lo feci entrare arrossendo ed anche con un po' in imbarazzo per la figuraccia fatta.
Per cercare di rimediare lo invitai a vedere la mia classe dove lo presentai a tutti gli scolari.
Anche lui doveva trovarsi in imbarazzo in quella situazione che assolutamente non aveva prevista.
Ma gentilmente mi disse che avrebbe continuato da solo la visita della scuola.
Arrivavo a Firenze tardi, alle quindici del pomeriggio e perciò spesso non tornavo a casa; via direttamente all'Università Fu un anno stancante!
Firenze per me allora era la Stazione di Santa Maria Novella, il cartellone degli orari., la biglietteria, i binari il treno.
Intanto nasceva in me l'amore per le poesie.
Il mio professore di lingua spagnola , Oreste Macrì aveva un metodo particolare: il corso monografico su Manrique era organizzato che dopo alcune lezioni introduttive dovevano essere gli allievi stessi a spiegare una poesia.
Di pomeriggio mi trovai così per una volta dalla parte della cattedra le mie intuizioni su un poema (che ora non ricordo più ) ebbero successo!
Non pensai più a quel fatto. Le cose vanno come vogliono loro ( Pirandello).
E così terminai gli esami; di fatti, aneddoti, acrobazie e peripezie ne avrei da raccontare, ma forse lo farò la prossima volta.
La scuola era così lontana ed allora feci la domanda per il tempo pieno a Scandicci.
Alla riunione di inizio del nuovo anno scolastico, il direttore di Prato mi ringraziò per la mia gentilezza.
Rimasi meravigliata "E' venuta a salutarci ?". Non capivo. Ma l'attimo dopo stavo correndo,
" Come non lo sa ? Le hanno dato il trasferimento " (Non ero ancora passata dal Provveditorato).
Povera, povera me , ora come farò ad arrivare a Scandicci 'alla nuova sede?
Penso di aver messo, come si dice, le ali ai piedi l'autobus, la Cap e poi il taxi.
L'autista poco pratico mi portò ad una scuola di Scandicci; ebbe però il buon senso di assicurarsi anche lui che quella fosse la scuola giusta ed avuta una risposta negativa, mi accompagnò finalmente a destinazione.
La segretaria mi annunciò al Direttore il quale senza perdersi in preamboli mi disse: " A lei è stata assegnata una classe prima".
Volevo dire qualcosa, ma mi rendevo conto che a parte le scuse per un ritardo di tre ore non c'erano altre cose da dire.
Il silenzio è d'oro e così, dopo aver balbettato qualcosa, uscii dalla segreteria.
Seppi , alcuni giorni dopo, che il mio nome e cognome erano stati più e più volte ripetuti dal Direttore ed in tono
"Ma !! Se arriva in ritardo il primo giorno figuriamoci gli altri".
Questo caso fu l' eccezione al proverbio " Il buon giorno si vede dal mattino".
Il direttore Tronci si era dimostrato un uomo intelligente; lo capìi dopo, non mi aveva fatto romanzine inutili, forse aveva intuito la mia buona fede e mi diede la possibilità di riscattarmi.
L'esperienza del tempo pieno era uno stimolo; l'idea di lavorare in due mi piaceva e mi terrorizzava.
Mi allettava perché per troppo tempo mi ero isolata a studiare e perciò volevo sperimentare le mie capacità riposte nel cassetto, di stare con altre persone.
Ero terrorizzata perché ..e se non sarei riuscita ad andare d'accordo con la mia collega?
Un anno è lungo da passare !
Sandra si dimostrò bravissima : aveva le doti che io non possedevo; le piaceva la matematica e in più era ordinata e precisa.
Andammo tanto d'accordo che decidemmo di frequentare insieme il corso per animatori sportivi
Eravamo sempre in coppia , capirai, gli altri erano studenti dell'ISEF tutti agilissimi io non ne parliamo.
Intanto cominciavo la tesi di laurea
Al quinto anno d'insegnamento, a metà tesi
CADDI
Un buco nero la mia vita.
Non volevo , non volevo, non . . . . . . . . .
Non dormivo, non volevo che i miei genitori dormissero, non desideravo uscire, piangevo Quarantacinque giorni indimenticabili, ma che ho voluto riporre nel, posto più segreto del mio cuore, non tanto per il male che stavo facendo a me stessa, ma soprattutto per quello che procuravo agli altri , specie a papà e mamma.
Ero costantemente stanca, svogliata, priva di interessi.
In chiesa non volevo andarci, però non so per quale forza interiore, mi sforzavo.
Una volta, che mi trovavo dentro la chiesa di Santa Maria Novella, le mie gambe ricordo volevano fuggire, ma riuscìi a rimanere.
A scuola quante volte scoppiavo a piangere!
( E' la prima volta che scrivo di questo periodo e non nascondo che il mio corpo è pervaso da tremore).
Quel periodo però doveva dimostrarsi (a distanza di anni, lo sto valutando ora mentre scrivo) costruttivo.
Tante cose: un viaggio, incontri, aiuti, le preghiere; arrivai quasi ad uscirne, ma ancora non completamente.
Un pomeriggio andai alla libreria Marzocco in via Cavour; volevo cercare tutte le Case editrici che avevano pubblicato poesie.
Ne feci un lungo elenco e stavo per uscire insoddisfatta; si trovavano tutte a Milano o a Roma.
Prima però di varcare l'ultima soglia vedo un libro di poesie di Sara Melauri: la casa editrice Cultura di Firenze.
La sera seguente ero già , con in mano le "cose" che avevo scritto, a suonare alla porta di Cultura.
La segretaria mi fece accomodare e, prima di prendere ciò che le portavo, mi disse :
Se lei ha fretta non me lo lasci neppure.
L'editore Le assicuro che leggerà tutto, ma occorrerà del tempo.
" Non ho fretta , si figuri, le ho tenute nel cassetto per anni, posso aspettare.
Me ne andai. senza pensare.
Gianni Giovannoni, il direttore di Cultura mi telefonò .. uscì il primo libro proprio quando stavo venendo fuori dal buco nero.
Per questo dedicai il volume a
A tutti coloro che vivono
in una stanza buia
perché trovino la forza di
aprire , loro , una finestra
su un cielo azzurro
io dedico
La copertina l'ideò Andrea che allora era la persona più paziente con me nel bar a Santa Maria Novella , sui tavolini all'aperto.
"Voglio pubblicare un libro"
Andrea sorrideva
Sarei felice se la copertina me la disegnassi tu.
Parlammo di tante cose e Andrea realizzò l'idea del sole che entra in una stanza buia e l'illumina
Scelse il colore verde come simbolo della speranza.
L'anno 1978 a Novembre il giorno 10 precisamente alle 18,30 discussi la mia tesi di laurea.
Un successo !
I miei pensieri erano di nuovo rosei e poi avevo il libro.
E' vero, avevo dovuto scrivere un libro per comunicare con gli altri . Ma funzionava!
Molti amici per curiosità mi chiedevano , volevano parlare , trovavano espresse cose che anche loro sentivano … " anche tu" " anche io ".
Furono storie di concorsi, vita di associazioni, presentazioni, sarebbe difficile per me farne un elenco preciso anche se ho dei ricordi piacevoli , dolcissimi . Correvo sempre con l'entusiasmo, andavo a ritirare i premi superando distanze, orari.
Ma dovevo essere proprio buffa con quei fogli di poesia a girare!
Conobbi così il Cenobio fiorentino creato dal prof. Armando Alessandra dove incontrai tra gli altri l'artista Vieri Masini .
Queste corse non mi hanno più abbandonato neppure oggi.
Continuo ad esser buffa!
Permette una poesia ?
Fu il mio secondo libro, Trentatre erano state quelle pubblicate, per caso, la prima volta ed altrettante decisi di metterne nel secondo volume
( 33 gli anni di Cristo ).
Il volume nasceva da una osservazione che mi era stata fatta.
" Hai espresso solo la tristezza, ma tu non sei solo così "
Era vero, dopo quei giorni terribili avevo più voglia di vivere di prima, mi piacevano di più tutte le cose.
" Permette?" con la copertina, veramente originale, creata dal maestro Franco Benvenuti, voleva offrire agli altri la parte gioiosa di me.
Il titolo lo ideai mentre ero a studiare a Palazzo Strozzi, che intanto era diventato uno dei miei luoghi preferiti .
C'erano i giornali, i libri, potevo leggere di tutto ed ero felice lì.
Quella sera, un giorno di pioggia entrai e, caso singolare, trovai una esposizione di opere dello scultore Quinto Martini sul tema La pioggia
Decisi il titolo e dedicai a Quinto la poesia che apre il volume
D'AUTUNNO LA PIOGGIA
cade la pioggia
le foglie per terra
i colori dell'autunno si confondono
con quelli del cielo
marrone, giallo, rosso, verde ,celeste.
Una pennellata turchese, una di fango
e i caldi colori rimangono bagnati
Visitando Firenze Palazzo Strozzi- La pioggia . sculture e disegni di Quinto Martini
PIU' SI CONOSCONO LE COSE E PIU' SI AMANO ( San Francesco)
E ciò fu vero anche per Firenze.
Uscivo, respiravo, vivevo e cominciai ad attaccarmi alla città tanto che bastava che papà mi dicesse, anche in tono scherzoso, che saremmo andati via per piangere ( non con le lacrime, ma col cuore).
Tante cose vorrei raccontare, ma volutamente ora lascio che siano le mie poesie, quelle scritte a Firenze e per Firenze a parlare.
Le ho composte direttamente nei luoghi di cui parlo nel tentativo di descrivere con parole ciò che di solito si fa con le immagini.I disegni sono stati creati dagli amici , i pittori, artisti che intanto avevo conosciuto: Andrea Bardazzi, l'autore della mia prima copertina , Daniele Tempesti con il quale ho scritto pure una commedia perché lui è un grande appassionato di teatro, Cristina studentessa dell'Istituto d'Arte.
Su di lei c'è una storia.
Alla fermata del 26 per andare a scuola ci trovavamo sempre in due: io ed un signore ( non ricordo il nome).
Lui era docente della scuola d'arte, io gli parlai dei miei interessi poetici. Gli venne allora in mente di chiedermi di portare quelle cose perché avrebbe dato un compito in classe "Illustra una poesia che ti piace"..
Delle immagini realizzate quella di Cristina mi colpì molto: aveva centrato in pieno; io stessa, se fossi stata capace, le avrei fatte così.
Dopo l'ho conosciuta ed è stato un bell'incontro, un dialogo che dalla carta si trasferiva alle parole alcune mie poesie vengono musicate da Walter Giulianetti.
Facevo parte di tante associazioni, facevo del volontariato e poi ho conosciuto Toscana Oggi.
Lì ho imparato tante cose ed ho avuto la splendida possibilità di portare avanti con gioia questo mio amore per lo scrivere.
Anche la storia del giornale è un capitolo nuovo. Chissà …per un'altra volta.
Un attimo ancora mi sia concesso per ringraziare coloro che mi hanno aiutato, tutti proprio tutti.
Grazie particolare va al Centro Internazionale Studenti Giorgio La Pira, io ne ho veramente tanti motivi : qui ho conosciuto anche mio marito, Sayed.
E poi il Centro è - voglio proprio dirlo – una testimonianza concreta-pratica (non solo a parole) di aprire un dialogo tra i popoli .
Grazie infine a mio fratello Cesare ; è lui l'"oscuro", ma attivo collaboratore che riesce di battere a macchina dalla mia indecifrabile scrittura.
Lui ha studiato per compositore e tipografo e così si è offerto per sistemare in questo lavoro le immagini, parte delle quali sono state realizzate dai miei alunni ed anche a loro naturalmente grazie .
Grazie ancora per aver avuto la pazienza di leggere e se qualcuno si è sentito dimenticato, mi perdoni.
Possono essere forniti, se utili:
le poesie, i disegni, gli spartiti musicali
delle poesie dedicate a Firenze e la foto con le firme originali degli alunni della prima classe
alla Montagnola.
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