mercoledì 13 luglio 2022

Intercultura

 


 

GIRO GIROTONDO DIRITTI IN TUTTO IL MONDO

 GIRO GIRO TONDO

DIRITTI IN TUTTO IL MONDO

CANTANO I BAMBINI SALTANDO SUI CONFINI

CON LE MANI NELLE MANI

SUI PARALLELI E SUI MERIDIANI

QUELLI CHE STANNO QUA’ O DI LA’

PER TUTTI LA PACE SARA’,

I BAMBINI DI TUTTO IL MONDO

FANNO UN GRANDE GIROTONDO, FELICI COI LORO DIRITTI

PER UN MONDO SENZA CONFLITTI.

UN GIRO GIRO TONDO

PER I DIRITTI IN TUTTO IL MONDO.

                                                     

                                                                                FESTA DELLA TOSCANA, 2004

CONSIGLIO REGIONALE DELLA TOSCANA

 

 


                                

categoria progettuale                                                                         categoria sociologica

e pedagogica (non un dato di                                                            (indica una società dove

fatto ma un progetto di vita)                                                  coesistono individui, gruppi etnici,

                                                                                               con caratteristiche proprie)

 

Pensando all’intercultura sono venuti fuori molti termini importanti:

INTEGRAZIONE tra culture diverse

DIALOGO come scambio di conoscenza

SCOPERTA come messa in comune

RISPETTO

AMORE

CITTADINO DEL MONDO

IMPEGNO.

Parlando di interculturalità e multiculturalità abbiamo schematizzato le 6 fasi del processo migratorio:

      Arrivo e l’enclave culturale

      Riunificazione della famiglia

      Progetto di vita

      Conflitto generazionale

      Sentirsi cittadini

      Scomparsa della prima generazione

 

I termini importanti di questi incontri sono:

 

CULTURA: tutto quello che una comunità fa o lascia come segno del suo passaggio.

 

ACCULTURAZIONE: processo che si attua per persone che non abitano più nel loro paese.

 

INCULTURAZIONE: processo consapevole o inconsapevole che abbiamo fatto fino ad oggi.

 

EUROCENTRISMO: la nostra cultura è al centro e utti gli altri la osservano traendone alcune considerazioni e principi.

 

ETNOCENTRISMO: spostamento verso le diverse etnie

 

RELATIVISMO CULTURALE: tanti ceti culturali insieme, ma uno diverso dall’altro

 

METICCIAMENTO: arricchimento della nostra cultura attraverso la cultura degli altri.

 

MIXED SALAD BAUL: come nell’insalata distinguiamo i profumi, le fraganze, la freschezza… dei pomodori, insalata, carote, cosi distinguiamo le diverse personalità.

 

MELTING POT: fusione di culture che porta ad un composto di identità che non ne permette il riconoscimento delle singole.

 

Tra gli autori che ci ha presentato, un posto di rilievo lo riveste Fuad Aziz

 

SE UNO SOGNA DA SOLO È SOLO UN SOGNO…

SE TANTI SOGNANO INSIEME È IL FUTURO CHE COMINCIA !!!!!

 

 

ESISTE O NO LA POSSIBILITA’ DI INTERAZIONE TRA CULTURE DIVERSE?

ESISTE O NO UNA GERARCHIA TRA LE CULTURE STESSE?

 

Questi interrogativi sono diventati pressanti per la situazione italiana e la sua realtà multiculturale (cioè la compresenza di culture differenti sullo stesso territorio) dovuta a due fenomeni principali:

  • la necessità di allargare le frontiere verso un clima di collaborazione con gli altri paesi europei, in seguito alla nascita dell’Europa unita;
  • la necessità di entrare in relazione con le diverse culture presenti oggi nel nostro paese in seguito alle recenti ondate migratorie.

Come l’Italia anche molti altri paesi occidentali e non devono affrontare il pluralismo culturale che ha portato ad una presa di posizione dei diversi governi, ma per quanto riguarda la politica scolastica ad una ricerca di soluzioni a livello educativo.

Se consideriamo il livello di scolarizzazione di un popolo un dato importante nella valutazione del suo grado di sviluppo, appare evidente che una delle maggiori sfide per ogni stato è quella di perseguire il successo scolastico della sua popolazioni, individuando cioè e perseguendo livelli di conoscenza condivisibili di standard sufficiente per essere accettati.

Per lungo tempo si è affrontato tale problema attraverso il concetto di ASSIMILAZIONE, cioè la tendenza a far assorbire le differenze dalla cultura dominante. Un esempio può essere quello delle diverse lingue che devono essere rimpiazzate dalla lingua dominante.

Questo metodo però oltre che a tendere alla distruzione delle culture altrui, in presenza di un significativo numero di bambini “diversi” nella classe porta al fallimento nel processo di insegnamento-apprendimento.

Questo fallimento spesso è stato attribuito alle inferiorità biologiche di alcune culture sostenute da Scuole di Psicologia soprattutto negli USA durante gli anni ’60.

Oggi l’assimilazione non è più un concetto popolare (anche se essa è nascostamente supportata da quegli insegnanti i quali pensano che, dopo tutto, la cultura occidentale è migliore delle altre!) ma si è convinti che il riconoscimento ed il rispetto delle differenze sia in grado di dare equilibrio ad una società pluralistica.

Il presupposto su cui si basa la cosiddetta “ EDUCAZIONE INTERCULTURALE” è il mantenimento dell’identità culturale da parte delle minoranze, dal momento che esistono sufficienti esperienze condivise e valori di coesione sociale in grado di assicurare stabilità.

Varie pratiche hanno cercato di sviluppare quest’idea: programmi particolari di lingua per i bambini stranieri, verifiche delle programmazioni in direzione anti-etnocentrica, corsi di aggiornamento per gli insegnanti, richiesta di partecipazione dei genitori  dei bambini stranieri alle attività scolastiche, promozione della conoscenza delle loro realtà culturale…

Valori da promuovere in una scuola interculturale potrebbero essere la giustizia, la libertà, la diversità, l’impegno personale per il bene pubblico, i diritti umani internazionali.  

 

 

COSA SIGNIFICA “ EDUCAZIONE INTERCULTURALE?”

“Far esprimere le relazioni tra culture”

 

In una classe esistono sempre diverse culture a prescindere dalla presenza di bambini stranieri poiché la cultura dipende dai valori etici, religiosi, politici a cui si fa riferimento.

Se l’intercultura quindi è una relazione fra culture non riguarda solo il piano cognitivo intellettivo della cultura e degli strumenti di conoscenza ma anche e principalmente quello affettivo e di relazione. Quindi non basta conoscere la cultura degli altri, ma dobbiamo essere capaci di relazionarci in modo positivo con loro.

Per impostare una programmazione di tipo interculturale è indispensabile tenere conto di tre fattori:

  • DECENTRAMENTO → presentare contenuti non direttamente legati alla nostra cultura, indurre i ragazzi a prendere in considerazione soluzioni e posizioni diverse dalle proprie. Educare all’educazione interculturale vuol dire de-centrarsi dal nostro punto di vista e capire che il nostro modo di pensare non è l’unico possibile, ma uno fra tanti.
  • DIVERSITA’ → la differenza culturale non è una differenza di strutture mentali ma un diverso modo di organizzare i contenuti della realtà. Una conoscenza degli aspetti storico, economico artistico del mondo occidentale favorisce la comprensione di altre culture.
  • PREGIUDIZIO → è fondamentale non pensare che la cultura del gruppo dominante sia l’unica valida. Attraverso il racconto delle loro esperienze si da agli alunni la possibilità di far conoscere la loro vita al di fuori della scuola, di esprimere il proprio punto di vista e le loro emozioni. Nella narrazione è più facile comprendere che giudicare, al centro del processo educativo ci sono i sentimenti, le impressioni che divengono importanti come i saperi e le conoscenze.

 

La scuola di oggi è sempre più evoluta sul piano tecnologico e didattico e si avvale di metodi per educare a prevenire i pregiudizi, accettare le diversità e favorire il decentramento.

 

 

4 ESEMPI DI APPROCCI METODOLOGICI

 

L’approccio narrativo→ punta l’attenzione all’ascolto, alla storia, alla biografia dell’altro.

Per cercare di accostarsi a culture diverse, per comprendere il motivo per cui gli altri fanno determinate scelte. Questo metodo suggerisce di avvalersi di fiabe, poesie, racconti e leggende di diverse culture e diversi paesi per stimolare il confronto, la ricerca di uguaglianze e differenze.

 

Giochi di simulazione di ruolo→ molti giochi di simulazione si riferiscono alla vita, ai problemi, agli aspetti culturali di differenti realtà.

Attraverso l’identificazione che ciascun giocatore vive riesce a capire le condizioni di vita e i condizionamenti socio-economici dei vari paesi.

Gli scopi dell’uso dei giochi di simulazione di ruolo è quello di: facilitare le capacità empatiche e di decentramento cognitivo; decostruire gli stereotipi; favorire l’interazione fra ragazzi italiani e stranieri.

 

Alcuni esempi:

-          provare ad immedesimarsi in un oggetto della stanza oppure in un personaggio “cattivo” (es. il lupo) per scoprire il loro punto di vista;

-          far vedere dei film in cui gli Indiani d’America sono i cattivi e uno dove sono i buoni per far capire ai bambini che i libri o i film non sono oggettivi, ma ci inducono a immedesimarsi in uno o nell’altro protagonista.

La didattica dei punti di vista→ si trattano temi e argomenti previsti dalla programmazione didattica presentandoli da “diversi punti di vista”.

Alcuni esempi:

-          il tempo, il calendario, la festa

-          lo spazio, la cartografia la rappresentazione del mondo

-          i gusti, le preferenze, l’identità personale

-          il nome, i sistemi d’attribuzione del nome, i significati del nome

-          i riti di passaggio e le tappe della storia personale

-          il cibo, l’alimentazione, i prodotti tipici

 

Il cooperative learning→ questo metodo consente di adattare il percorso formativo al livello di ogni singolo studente. Le attività sono organizzate in piccoli gruppi e a ciascun bambino viene affidato un compito necessario al funzionamento del lavoro. Così lavorare in piccoli gruppi permette una conoscenza interpersonale che non è possibile nel gruppo classe, l’assegnazione di una precisa consegna fa si che tutti debbano essere coinvolti, la dimensione sociale viene via via definendosi attraverso precise modalità e l’obbiettivo di produrre un unico elaborato costringe gli alunni a decidere insieme ed a organizzarsi.

PROGETTO: “NON UGUALI E’ MOLTO MEGLIO”

 

All’interno della scuola materna e della scuola elementare  è possibile realizzare progetti di interculturalità, progetti che possono stimolare la conoscenza dell’altro e anche aiutare ad abbattere stereotipi e pregiudizi, fattori che possono portarci a un’immagine distorta del “diverso da noi”.

In questa sede viene preso in considerazione un progetto dal nome “Non uguali… è molto meglio” proposto da Enrico Michelini e contenuto all’interno della rivista “Scuola materna per l’educazione dell’infanzia”, n. 5, 25 ottobre 2002 (pagg. 27-29).

L’itinerario proposto prevede un’attività di laboratorio che si snoda tra una sezione di scuola dell’Infanzia (con particolare riferimento alla fascia di età 4-6 anni) e una classe prima di scuola elementare.

Già dalla strutturazione del progetto possiamo vedere come venga valorizzata la continuità educativa, fondamentale per creare un buon ambiente di apprendimento.

Dopo aver individuato le esigenze di tipo formativo che richiedono di approfondire le tematiche relative all’educazione alla diversità (analisi del contesto, delle dinamiche all’interno dei gruppi…) le insegnanti di scuola dell’Infanzia e di scuola elementare procedono alla definizione di un comune progetto di laboratorio. Si individuano così le finalità per promuovere una riflessione su ciò che è “l’altro dal proprio sé”. Ciò richiede quindi di saper cogliere le somiglianze, le differenze, gli aspetti positivi che emergono dal confronto con le differenze.

Le insegnanti di entrambi i gradi di scuola decidono poi assieme le tappe del percorso, se ne definiscono la metodologia e i contenuti, i tempi di realizzazione e le risorse da utilizzare. Inoltre, sempre assieme, le insegnanti prevedono le modalità della valutazione-controllo delle attività programmate.

Per la realizzazione di tale progetto si formano dei gruppi misti di una decina di bambini ciascuno. La composizione mista permetterà di disporre di un “patrimonio di differenze” di gran lunga più significativo di quello che si può cogliere all’interno di una sezione o di una classe.

Primo e secondo incontro: “facciamo conoscenza”

Al microfono

All’interno di ogni gruppo si invitano i bambini a sedersi in cerchio e a presentarsi tenendo in mano un oggetto che funge da microfono. Nella presentazione, oltre al nome, vengono date informazioni sui propri interessi, sugli amici ecc..

 

 

 

Pallina sola soletta

L’insegnante ha annotato le varie informazioni riferite dai bambini. A presentazione ultimata, l’insegnante propone un gioco con lo scopo di favorire la memorizzazione dei nomi e la “fissazione” di alcuni tratti delle diverse personalità.

Stando sempre in cerchio, l’insegnante inizia il gioco indirizzando una pallina verso un bambino dicendo alcune informazioni (ad esempio: “Pallina sola soletta vai da un amico di nome Giorgio che ha un cagnolino di nome Bau”). Il bambino che riceve la palla la indirizzerà verso un compagno di cui ricorda il nome e una delle informazioni date precedentemente. Il gioco termina quando sono stati “intervistati” tutti i bambini.

L’identikit

Un bambino viene invitato a descrivere un proprio compagno tra quelli presenti nel gruppo senza nominarlo (ad esempio: “Ho un amico con i capelli lisci e neri, che indossa sempre i jeans. Chi sarà mai?”). Chi indovina viene chiamato a descrivere un altro compagno, sempre senza nominarlo. Il gioco continua fino a che non sono stati chiamati tutti i bambini del gruppo.

 

Il tesoro nascosto

L’insegnante forma coppie di bambini che si conoscono bene e li invita a presentare al gruppo il “tesoro nascosto” del proprio compagno di coppia, cioè a fornire quelle informazioni che si riferiscono a qualche aspetto positivo che si attribuisce all’altro.

La “pubblicazione” dei pregi dell’altro verrà poi ritualizzata con inchini reciproci o strette di mano.

 

Tutti diversi, ma tutti con qualcosa in comune

I giochi precedentemente proposti tendono a far risaltare le somiglianze e le differenze che i bambini percepiscono tra loro. Di seguito viene proposto un gioco finalizzato a confermare la consapevolezza in tal senso, da svolgersi in palestra.

I bambini vengono invitati a correre liberamente a saltare, ballare al suono di un brano musicale. Quando l’insegnante interrompe la musica, si devono formare dei girotondi composti da bambini che hanno quelle determinate caratteristiche che l’insegnante richiama. Successivamente l’insegnante farà riflettere i bambini sul fatto che i “girotondi” abbiano continuamente composizione; su come ci si possa aggregare per tratti comuni e successivamente ritrovarsi differenti; su come ci si diverta assieme.

Terzo e quarto incontro: “storie per conoscerci ed apprezzarci”

L’insegnante legge alcune storie che hanno come oggetto il tema della diversità. A letture ultimate, orienta la conversazione dei bambini verso la ricostruzione verbalizzata delle due storie, ma soprattutto verso l’individuazione, all’interno di esse, della relazione conflittuale tra  le diversità in gioco, e verso la riflessione sulle modalità di superamento del conflitto che vengono presentate.

Quinto e sesto incontro: “costruiamo una storia”

Usando gli schemi narrativi a cui si è fatto riferimento, i bambini vengono invitati a  costruire, a livello di gruppo, una storia incentrata sul tema della valorizzazione-scoperta della diversità.

La storia di ogni gruppo viene poi riprodotta in un “libro” nel quale, oltre alle illustrazioni prodotte da tutti i componenti del gruppo, figurano testi-didascalia trascritti dai bambini delle elementari.

Nel corso dell’ultimo incontro, tutti i gruppi si ritrovano assieme per assistere alla presentazione delle singole storie.

Come ultima annotazione, è importante sottolineare come nei testi programmatici per i due gradi di scuola a cui è rivolta tale attività (gli “Orientamenti” del 1991 per quanto riguarda la scuola dell’Infanzia e i “Programmi” del 1985 per quanto riguarda la scuola elementare) viene data una grande importanza alla scoperta della diversità.

 

 

LINGUE STRANIERE ED EDUCAZIONE INTERCULTURALE

 

“E’ solo agli occhi di un’altra cultura che la nostra propria cultura si rivela più completamente e più profondamente” (M.Bachtin, Estetica della creazione verbale)

 

All’interno del contesto scolastico è importante la conoscenza delle lingue straniere e l’educazione interculturale.

 

L’ASSOCIAZIONE LEND:

Con la pubblicazione di “La dimensione culturale nell’insegnamento della L2” nel 1986, e successivamente, nel 1989, con il convegno nazionale di Urbino, si sviluppa l’associazione LEND, che vede come principale obbiettivo il raggiungimento della conoscenza dei rapporti tra le varie culture, i popoli e le lingue.

L’incontro della lingua straniera può essere infatti fonte di arricchimento personale e anche utile a livello professionale.

In Italia la percentuale degli stranieri è ancora bassa anche se è destinata ad aumentare.

Per un insegnante, inoltre,deve essere chiara la differenza tra MULTICULTURALITA’  e INTERCULTURALITA’.

Il concetto di multiculturalità è stato sempre presente all’interno del nostro paese.

Pensiamo ad esempio alla presenza di albanesi nell’Italia del Sud nel 1400 o alle comunità bilingui e trilingue delle zone di frontiera.

Anche le differenze tra le culture del Nord industriale ricco e quelle del Meridione povero agricolo, venute a contatto negli anni cinquanta e sessanta, rappresentano un evento multiculturale.

L’intercultura è un termine legato all’educazione DISCORSO AMICA ROTUNDO

 

EDUCAZIONE INTERCULTURALE: La normativa

La prima circolare ministeriale che affronta il tema dell’educazione concetti di multiculturalità interculturale nella scuola dell’obbligo è la 205 del 1990, nella quale vengono introdotti i principi di ricchezza, processo e valore, pur non nascondendo la difficoltà di realizzazione di una simile impresa.

Per quanto riguarda la “Pronunce del CNPI” è importante ricordare la circolare sulla “settimana

Del dialogo interculturale” del 1992 e dal documento del 1994.

In quest’ultimo viene presentato un quadro di riferimento rigoroso sull’educazione interculturale e ne viene sottolineata l’urgenza.

Nel 1995 vi è la pubblicazione  degli Annali nei quali però vengono lasciati senza risposta i problemi della formazione dei docenti, della realizzazione dei laboratori e biblioteche multietniche, l’introduzione e la valorizzazione delle lingue e delle culture dei nuovi alunni.

E’ nei “Programmi Brocca” che troviamo per la prima volta in un testo ufficiale, il concetto di “educazione interculturale” come fine e mezzo per “ridefinire i propri atteggiamenti nei confronti del diverso da sé” e per raggiungere una più completa “ formazione umana, sociale e culturale”.

I programmi del 1985 per la scuola elementare affermano l’importanza dell’educazione interculturale perché il fine della formazione dell’uomo è indirizzato alla  “comprensione e cooperazione con gli altri popoli”.

Il programma di lingue straniere insiste sul valore formativo della lingua come strumento di sviluppo cognitivo, di comunicazione e comprensione con le varie culture.

Gli orientamenti per la scuola materna del 1991 definiscono gli eventi multiculturali come situazioni di arricchimento e maturazione.

Infine per un insegnante di lingue straniere può essere importante la lettura di fiabe, miti e giochi che sono fonte di scoperta e comprensione di una  cultura “altra”.


 

L’IMMIGRAZIONE: REALTA’ DELL’INTERCULTURA

Oggi l’immigrazione è un fenomeno fisiologico per il mondo occidentale e per il nostro Paese, ma il livello di informazione e di analisi di cui possiamo disporre su di essa è insoddisfacente.

Nonostante il grande rilievo riconosciuto al ruolo degli immigrati le informazioni disponibili sull’entità di questo fenomeno in Italia sono ancora limitate e imprecise.

Il quadro informativo a livello regionale è particolarmente carente.

La necessità di un quadro più esaustivo è sentita nelle aree in cui i flussi migratori sono particolarmente intensi tanto da avere implicazioni forti sulle politiche pubbliche, economiche e sociali.

L’analisi svolta da questo studio cerca di valutare quale sia l’impatto della popolazione immigrata residente in Toscana su alcune fra le principali voci di entrata e di spesa pubblica.

Il lavoro si divide in tre parti:

  1. nella prima parte viene delineato il profilo degli immigrati in Toscana
  2. nella seconda parte vengono presentate alcune proiezioni 2010-2020 sull’evoluzione attesa per la popolazione residente in Toscana ottenute tramite l’impiego del modello demografico subregionale dell’IRPET
  3. l’ultima parte contiene un esercizio di simulazione dell’impatto fiscale del fenomeno, articolato nella stima di alcune entrate fiscali e di alcune spese del settore pubblico, ottenute a partire dal profilo demografico degli stranieri residenti nella regione.

 

Lo scopo di quest’ultima parte di lavoro è quello di tentare un’approssimazione del saldo fiscale attribuibile agli immigrati attualmente residenti in Toscana.

 

Peculiarità dell’immigrazione in Toscana

La crescita della popolazione straniera

La Toscana è stata interessata negli ultimi anni da flussi migratori di importanza sempre maggiore, sia per la loro dimensione quantitativa che per la loro pervasività territoriale.

Secondo l’ultimo rapporto Caritas gli immigrati aggiornati in Italia al 31/12/2002 sono circa 130.000. Questa stima viene raggiunta applicando al totale dei permessi di soggiorno sul territorio regionale una maggiorazione del 16,8 % (I.S.T.A.T) necessaria per stimare la presenza dei minori che vengono inclusi nei permessi di soggiorno dei genitori. I dati ufficiali collocano la Toscana tra le prime sei regioni italiane, mentre un dato ancor più significativo, ovvero l’incidenza dei residenti stranieri sulla popolazione complessiva, modifica questa graduatoria ponendola al quinto posto e modificando la posizione di alcune regioni.

Per quanto riguarda la crescita complessiva della popolazione straniera, si osserva che in 10 anni i soggiornati in Toscana sono più che raddoppiati.

I dati mostrano che Firenze continua a rappresentare il polo principale dell’attrazione per gli immigrati. Probabilmente il capoluogo è la prima destinazione di arrivo degli immigrati, che poi si riallocano nel territorio regionale.

L’analisi per nazionalità di provenienza evidenzia che:

  • è diminuito il peso relativo degli stranieri provenienti dai paesi a sviluppo avanzato e sono aumentati coloro che arrivano da paesi a forte pressione migratoria (Albania, Cina, Marocco)
  • si è attenuato il policentrismo migratorio
  • è aumentato il peso degli stranieri provenienti dai paesi dell’Est (Albania, Romania, Polonia)

Il radicamento sul territorio e le possibili ricadute sociali

La presenza straniera in Toscana evidenzia segnali di consolidamento e di stabilizzazione sul territorio. L’analisi mostra come l’evoluzione della popolazione residente in Toscana negli anni 90 sia in buona misura influenzata dai movimenti migratori, soprattutto dai flussi in arrivo dall’estero.

In primo luogo, l’immigrazione proveniente dai paesi a forte pressione migratoria, oltre a rappresentare la componente maggioritaria dei flussi in ingresso, è anche quella con un’età più giovane che contribuisce a bilanciare il declino della popolazione autoctona e frenare il marcato invecchiamento della popolazione.

In secondo luogo, l’incremento delle entrate per ricongiungimento familiare dei flussi migratori al femminile, con una prevalente presenza di donne in età feconda ed in conseguente riequilibrio della popolazione straniera, indicano una tendenza da parte dei nuovi arrivati a stabilizzarsi sul territorio.

Si tratta di un insieme di fattori che possono spiegare la lieve ripresa della fecondità osservata in Toscana negli ultimi anni con tutti gli effetti che ciò comporta sul piano demografico, sul futuro socioeconomico della regione e sull’impatto sociale di questo processo sul sistema integrato istruzione-la formazione- il lavoro.

L’inserimento nei mercati del lavoro

Il processo di inserimento degli immigrati nei mercati del lavoro toscano sembra confermare il trend positivo degli ultimi anni, in quanto frutto dell’incontro tra una domanda di lavoro sempre più rilevante e un’offerta caratterizzata da una buona capacità di adattamento alle condizioni e ai lavori offerti.

L’assunzione dei lavoratori extracomunitari nel 2001 sembrano confermare il trend positivo riscontrato negli anni precedenti, con un incremento di quasi il 34% rispetto al 2000.

Da un punto di vista settoriale la maggior parte dei lavoratori è distribuita nel terziario e nelle attività manifatturiere.

L’incidenza delle assunzioni nel settore della manifattura risulta accentrata nelle province di Lucca, Massa Carrara, Pisa, Arezzo e Prato.

Nell’occupazione terziaria dei lavoratori stranieri spicca Firenze, le assunzioni in agricoltura avvengono soprattutto nelle province di Grosseto e Siena.

Altro tipo di domanda di lavoro immigrato deriva dalla richiesta delle famiglie di lavoratori domestici.

Il crescente fabbisogno delle imprese

La Toscana ha una struttura fortemente caratterizzata da imprese piccole e piccolissime che sono orientate al segmento degli operai specializzati.

Tali profili sono sempre più difficilmente reperibili sul mercato a causa soprattutto delle scelte scolastiche e dalle aspirazioni delle nuove generazioni.

Proprio le difficoltà di reperimento delle figure richieste sul mercato sembrerebbero concorrere a spiegare il largo ricorso che gli imprenditori toscani dichiarano di essere disposti a fare di forza-lavoro extracomunitaria.

Sono soprattutto le imprese grandi e medio-grandi a manifestare un’elevata disponibilità ad assumere cittadini extracomunitari, mentre nelle medio-piccole e piccole imprese si riduce sensibilmente la richiesta di manodopera straniera.

L’analisi dei profili professionali più richiesti ci mostra che le figure che registrano il livello più elevato di assunzioni previste riguardano:

  • le professioni relative alle vendite e ai servizi per le famiglie;
  • gli operai specializzati;
  • la macrocategoria del personale non qualificato.

Il modello toscano

Il modello toscano si articola in:

  1. il modello dell’industria diffusa, che richiede manodopera relativamente stabile, in primo luogo per le attività manifatturiere ed edili, riscontrabile nei distretti industriali e nelle aree di piccola impresa;
  2. modello delle economie metropolitane, in cui sono centrali l’assistenza agli anziani e la figura della collaboratrice familiare;
  3. il modello delle attività stagionali relativamente strutturate, collegabile con le aree turistiche ed agricole che conoscono picchi stagionali accentuati di fabbisogno di manodopera.

Se si analizzano i tassi di occupazione e di disoccupazione si evidenzia come la presenza di lavoratori stranieri sia correlata in modo positivo con lo sviluppo economico locale.

Dal punto di vista delle politiche del lavoro risulta sempre più rilevante porre attenzione alla professionalità e alle competenze degli stranieri, nonché ai loro fabbisogni formativi.

 

Previsione per la popolazione residente in toscana

Scenari demografici per la popolazione straniera e autoctona

Negli ultimi 30 anni l?italia è stata caratterizzata da una marcata riduzione dei tassi di fecondità in grado di innescare un processo di declino e invecchiamento.

Al tempo stesso però il paese è stato sottoposto a flussi migratori crescenti provenienti principalmente dai paesi in via di sviluppo.

La Toscana non ha fatto eccezione a questo andamento.

In questo lavoro, partendo dai dati ISTAT,  abbiamo sviluppato tre scenari relativi all’evoluzione ventennale della popolazione residente nella regione. La popolazione regionale è stata considerata come somma di due popolazioni: gli autoctoni residenti e gli stranieri residenti. La popolazione è stata ulteriormente suddivisa in “popolazione di origine italiana” e “popolazione di origine straniera”.

Della “popolazione di origine italiana” fanno parte i sopravviventi della popolazione nativa al 31/12/2000, i soggetti nati in seguito da madre italiana e i cittadini italiani migrati in seguito da altre regioni italiane e dall’estero, al netto delle cancellazioni in anagrafe per morte o per trasferimento di residenza all’estero o in un’altra regione italiana.

La “popolazione di origine straniera” ad una certa data sarà costituita dai                        entrata in periodi precedenti all’anno base, dei soggetti nati in seguito da madre straniera e dai cittadini stranieri che si iscrivono successivamente all’anagrafe, al netto delle cancellazioni per morte o per trasferimento di residenza all’estero. Si è invece ipotizzato nullo il saldo interregionale di cittadini stranieri.

Le tre aree sono:

  • SCENARIO A: tassi di fecondità identici alla popolazione di origine italiana, saldo migratorio con l’estero nullo;
  • SCENARIO B: i tassi di fecondità identici alla popolazione di origine italiana, saldo migratorio annuale con l’estero pari a circa 9.400 unità;
  • SCENARIO C: tassi di fecondità pari a 2,04 figli per donna per tutto il periodo, saldo migratorio annuale con l’estero pari a 13.000 unità.

I risultati associati alle ipotesi

Dai tre scenari predisposti si deduce che la struttura per età della popolazione in Toscana cambierà.

  • Nello scenario A “chiusura delle frontiere” i residenti in Toscana al 2020 diminuiranno del 6,8%, la popolazione attiva del 12,9%. La quota degli stranieri sul totale rimarrà stabile.
  • Nello scenario B i futuri flussi migratori argineranno la perdita di popolazione solo nel breve periodo.
  • I flussi ipotizzati nello scenario C (il più alto livello di fecondità per gli stranieri) determinano un aumento della popolazione di origine straniera sufficiente per controbilanciare la diminuzione complessiva della popolazione autoctona ma non per contrastare la diminuzione della fascia di popolazione in età attiva che diminuirà del 2,8% rispetto al 2000.

 

Impatto degli immigrati sulla finanza pubblica

Immigrazione, sviluppo demografico e finanza pubblica:relazioni ed effetti possibili

Gli andamenti economici dei paesi sviluppati dipendono sia dalla congiuntura che dall’evoluzione demografica.

All’aumentare dell’età media della popolazione, infatti aumenta la probabilità del verificarsi di squilibri finanziari perché da un lato cresce il fabbisogno di spesa sanitaria e pensionistica, dall’altro si riduce la forza lavoro, si contrae la crescita del sistema economico e diminuiscono le entrate pubbliche sottoforma di contributi ed imposte.

Per quanto riguarda l’Italia tutto ciò può risultare accentuato dati i valori molto bassi del tasso di procreazione, conseguenza degli elevati livelli di tenore di vita e dell’intensa partecipazione femminile al mondo del lavoro.

In letteratura gli studi sull’argomento hanno cercato di approfondire tematiche differenti come ad esempio il contributo dell’immigrazione al processo di produzione e alla crescita di ricchezza di un paese o di una regione o le diverse condizioni di inserimento lavorativo e di accessibilità ai servizi sociali.

Dagli studi economici sull’impatto delle migrazioni sui sistemi di welfare dei paesi di destinazione, emerge un bilancio complessivamente positivo.

E’ possibile infatti rilevare che spesso gli immigrati presentano una maggiore probabilità di accedere alle prestazioni dello stato sociali rispetto ai nativi.

In questo senso i flussi migratori possono rappresentare un fenomeno che contribuisce ad allentare il peso fiscale delle prestazioni sociali e i vincoli della finanza pubblica.

Inoltre risultano esserci anche effetti di carattere negativo sui sistemi di sicurezza sociale, soprattutto dove si ipotizza che l’invecchiamento degli stranieri possa comportare un aumento della spesa pensionistica non controbilanciato all’onere fiscale dei più giovani, caratterizzati dai bassi livelli d’istruzione e di reddito.

 

Impatto degli immigrati residenti sulle entrate pubbliche: 

Molto delicato è ancora il tema dell’inserimento degli immigrati nel mondo del lavoro.

Scarsa è infatti la conoscenza dei redditi percepiti dagli immigrati, anche se alcune ricerche hanno fornito alcuni risultati.

Nel 2000 dall’archivio INPS risultano 55.470 lavoratori extracomunitari in Toscana, di cui il 76% di questi è costituito da lavoratori dipendenti, il 19% da domestici e la parte restante da lavoratori autonomi, che operano prevalentemente nel settore artigiano o del commercio.

Rispetto all’età si osserva una concentrazione dei lavoratori nelle classi centrali del periodo attivo della vita, relativamente  è più alta la percentuale tra i lavoratori tra i 25 e i 40 anni.

Da questi dati emerge che esistono differenze nel trattamento fiscale dei lavoratori legati al tipo di attività svolta.

Si notano infatti livelli più elevati di pressione tributaria sul lavoro dipendente rispetto a quello autonomo.

In media il rapporto fra reddito disponibile e reddito lordo risulta più alto per dipendenti e per i domestici.

Complessivamente i contributi e le imposte versati dagli stranieri comunitari ammontano a 107 milioni di euro e rappresentano il 48% dei redditi lordi percepiti.

 

Impatto degli immigrati residenti sulle spese pubbliche:

Fino a qualche tempo fa, l’immigrato “tipo” era giovane, sano e senza famiglia.

Oggi invece una discreta parte degli immigrati è stanziale, vive cioè stabilmente in Italia, dove ha acquisito la residenza insieme al proprio nucleo familiare.

Di fronte ad una popolazione straniera più composita il bilanciamento fra entrate e spese pubbliche a livello individuale diventa meno prevedibile e più mutevole nel tempo in funzione del livello e della popolazione.

Per quanto riguarda l’istruzione si parla di 15.000 alunni iscritti ai vari livelli di scuola per l’anno 2000, anche se il tasso di abbandono è già consistente dalla scuola media.

Negli atenei toscani nell’anno accademico 2000/2001 erano iscritti 16.000 stranieri, ovvero l’1,13% del totale degli studenti.

Per la sfera della formazione professionale la sanità rappresenta la spesa più rilevante nei bilanci delle regioni, presentando ancora oggi però delle lacune o conoscenze imperfette sulle condizioni di offerte e sul grado di soddisfazione della domanda per cure sanitarie nelle varie parti del paese.

Sulla base della struttura per età e genere si stima che la spesa sanitaria totale degli stranieri residenti nel 2000 ammonti a quasi 56 milioni di euro, di cui 29,6% per le donne e 26,6% per gli uomini.

Si tratta di una spesa che equivale al 2% della sfera sanitaria complessiva.

Il settore dell’assistenza sociale prevede una distribuzione delle responsabilità di finanziamento articolata su diversi livelli di governo.

Il Comune è l’ente che eroga i servizi sociali, la Provincia svolge un ruolo propositivo, la Regione

E lo stato esercitano funzioni di programmazione, coordinamento e indirizzo degli interventi sociali.

Le voci prevalenti sono rivolte agli anziani (38%), a disabili (21%) ed ai minori (11%).

 

LA RELIGIONE E L’INTERCULTURA

 

“Bisogna partire dalla consapevolezza che per dare insieme una risposta alle contraddizioni della società siamo spinti a trovare una forma di solidarietà tra persone anche molto diverse, per cultura, educazione,esperienza religiosa”.

                                                          

                                                                                                                      Don Raffaele

 

 

Cultura, educazione, esperienza religiosa, sono tutti tratti che caratterizzano l’esperienza umana; ogni civiltà a seconda di dove si è sviluppata ha manifestato forme differenti di identità. Quanto queste differenze possono generare contrasti e gravare nei rapporti di reciproca solidarietà? E quanto esse sono realmente radicate nella vita delle persone?

Rifletto per darmi una risposta e spontaneamente mi viene da pensare alla mia esperienza: un’infanzia legata alla chiesa, un’adolescenza di rottura  e infine il rapporto che da alcuni anni ho con la religione buddista.

Faccio un salto all’indietro di circa dieci anni; nel periodo che facevo catechismo mi dicevano sempre che siamo tutti figli di Dio e siamo tutti uguali di fronte ai suoi occhi, probabilmente questa è l’unica cosa che mi è rimasta di quegli anni, così decido di parlarne con David, un amico del mio gruppo di tirocinio che ha sicuramente maggiore conoscenza della tematica rispetto a me. Dopo una breve discussione lui mi consiglia di leggere il vangelo di Giovanni “Il colloquio con la Samaritana”; dopo una prima lettura insieme ho deciso di rileggerlo a casa con calma e sono stato colpito da due aspetti. Il primo è che nonostante i pregiudizi di allora nei confronti delle donne e gli attriti tra Giudei e Samaritani, Gesù parla con una donna Samaritana non preoccupandosi delle apparenze ma andando al di là fino ad arrivare al suo cuore. Secondo e punto focale del vangelo dal mio punto di vista è il seguente: “ chiunque beve di quest’acqua (riferendosi all’acqua del pozzo) avrà di nuovo sete… ma chi beve dall’acqua che io gli darò non avrà mai più sete, anzi diventerà in lui sorgente di acqua che zampilla per la vita eterna”.

Ancora una volta il consiglio che traggo è un richiamo a cercare la verità nella mia vita; l’acqua del pozzo, così come tutto ciò che mi circonda, può appagare i miei bisogni solo provvisoriamente, ma se io decido di ricercare la gioia di vivere nella profondità della mia vita scopro che la vita in sé è gioia e quindi lo è il solo fatto di essere al mondo. Ora penso sia opportuno fare una premessa; come e quando si arriva a questo tipo di consapevolezza? Io non penso possa esserci una risposta “preconfezionata” per tutti, ne  tanto meno che in questa ricerca vi sia un arrivo o comunque una meta; quel che so è che questa gioia, che si prova per esempio quando ci sentiamo in armonia con tutto ciò che ci circonda, esiste e il mezzo più diretto per tirarla fuori nella mia vità è stato ed è per ora la preghiera.  Nel Buddismo ciò di cui abbiamo parlato fino ad ora è chiamato Buddità, descritta come la condizione vitale più significativa per gli esseri viventi, caratterizzata da saggezza, compassione ma soprattutto da un grandissimo cuore che se rinnovato porta a sviluppare un rapporto di stima e fiducia verso se stessi e molti legami di amicizia con gli altri. La realtà più profonda di questa religione si esaurisce nella scoperta e nella manifestazione della Buddità in se stessi e nella capacità di riconoscerla in tutti gli altri: esseri umani, esseri senzienti e insezienti ; Shakiamuni, il fondatore del Buddismo racchiuse il sunto di tutto ciò con le sue parole: “il mio pensiero costante è come fare in modo che tutte le persone sperimentino questa condizione vitale”.

A questo punto che abbiamo accennato qualcosa di queste religioni, potremmo fare mille disquisizioni sul significato che la preghiera ha in entrambe; mi viene in mente una delle tante volte in cui mio padre mi ha detto che il “nocciolo” di tutto non sta’ nel sperimentare questo tipo di gioia ma bensì nel “guadagnarsi” la vita eterna e che questa non può esserci per persone che nonostante abbiano conosciuto Dio, decidono poi di prendere altre strade nelle quali si può anche non parlare di un Dio. Io credo che chi vive con questa gioia e la porta con sé in tutte  le circostanze della propria vita stia compiendo l’azione più nobile che un essere umano possa fare e quindi stia svolgendo nella propria vita la sua missione nel migliore dei modi. Qualsiasi padre con un buon senso sarebbe felice di un figlio che porta avanti quotidianamente la sua vita in questo modo, perché non dovrebbe allora esserlo il padre di tutti gli esseri viventi ?

Sono più che convinto che ognuno di noi nella profondità della propria vita può ritrovare il legame con tutti gli esseri viventi ed è proprio questa convinzione che mi fa credere in un unità tra gli esseri umani indifferentemente dalla cultura, l’educazione, l’esperienza religiosa. Non sono le differenze esteriori che contano ma lo spirito e il modo in cui si agisce.

 

 

LEOPOLDO E ALICE FRANCHETTI E IL LORO TEMPO

 

“Leopoldo e Alice Franchetti e il loro tempo” è il volume che ci ha permesso di conoscere vita, operato, di persone che tanto hanno dato alla crescita morale e materiale della collettività. L’aspetto pedagogico innovativo delle loro istituzioni ci ha interessato moltissimo.

…. Ma facciamo un passo indietro nel tempo..

Come mai abbiamo letto questo volume che contiene pubblicati gli atti del convegno svoltosi tra il 7 e l’8 aprile 2000 a Villa Montesca?

La nostra professoressa Cramelina Rotundo durante i suoi conversari estivi si è trovata sia a Limido Comasco (Co) con la straordinaria maestra Donata Arnaboldi Pagani la quale ha presentato la geografia d’Europa attraverso racconti di viaggio scritti da contemporanei e anche di Carmelina Rotundo reperiti su http://it.geocities.com/elanus2003  e su tundaro.alteravista.org/blog (ambedue siti creati dal prof. Giulio Prevedello); sia a Città di Castello ospite di Marilù e Walter Carigi e della famiglia Mariuci a vivere interessanti esperienze culturali…

Per ritornare a noi parlando delle tre tematiche che la nostra tutor avrebbe affrontato a settembre con noi studenti, ad Emanuele ed Elio Mariucci è venuta l’idea di prestarle questo libro che ci è stato proposto e che abbiamo deciso di leggere insieme.

Prima di passare alla trattazione del libro, sono doverose alcune precisazioni:

  1. Da rilevare che la pubblicazione degli atti è stata possibile grazie ad un lavoro di gruppo : l’Associazione storica dell’alta valle del Tevere; la Regione Umbria; la Provincia di Perugia; il Comune di Città di Castello; la Comunità Montana Alto Tevere Umbro; la Fondazione Cassa di Risparmio di Città di Castello; la Compagnia assicurativa UNIPOL; la rivista quindicennale “Pagine Altotiberine”.
  2. Il convegno si svolse nella dimora dei coniugi Franchetti alla Montesca dopo l’accurato recupero architettonico effettuato dalla Regione, divenuta proprietaria dopo che ne era stata erede l”Opera Pia Regina Margherita”.
  3. Gli obiettivi perseguiti da tale istituzione furono molteplici: il proposito di sviluppare l’elevazione culturale ed economica della plebe agricola; l’istituzione nel 1901 della scuola elementare rurale della Montesca e nel 1902 della scuola di Rovigliano improntate ad un metodo sperimentale nuovissimo; il barone dispose per testamento un generoso esperimento di piccola proprietà contadina smembrando la sua tenuta (composta da quarantotto poderi) di trenta ettari l’uno che nel 1917 furono assegnati ai coloni che coltivavano quelle terre; l’impegno profuso nel promuovere l’emancipazione femminile (nel 1908 viene istituito il laboratorio della tela Umbra in cui vi erano quarantacinque operaie salariate e partecipi agli utili); l’istituzione di asili a Città di Castello e a Citerna per garantire l’autonomia delle madri lavoratrici di cui si cercò di curare la preparazione con la creazione di una scuola di vita pratica femminile.

Infine, importante è una citazione del Guaragnoli che volge la sua attenzione verso il valore pedagogico di tale istituzione: “

Del libro esposto, sono stati focalizzati due capitoli, di cui di seguito ne diamo un’ampia divulgazione.

 

“L’integrazione di una grande famiglia ebrea tra la fine del Settecento e il primo Novecento: la famiglia Franchetti”

 

Integrazione per la famiglia ebrea dei Franchetti consiste nell’essersi distinti nel mondo degli affari e come vedremo, nell’aver occupato tra la fine del ‘700 e i primi anni del secolo successivo, una posizione di primo piano soprattutto a Livorno. Parleremo quindi della loro ascesa economica e anche dei riconoscimenti politici ricevuti e della loro dedizione per lo studio e la cultura in genere, che li portò a realizzare il progetto pedagogico della “Scuola della Montesca”.

Il 1 Iar 5542 (il 15 aprile 1782, per i cristiani) presso la cancelleria del consolato Veneto di Tunisi fu registrata la scritta di costituzione della ditta Salomone Enriques e Joseph Fianchetti, che consisteva almeno inizialmente nel commercio dei berretti alla tunisina, le chechiàs. La ditta era una grande società di tipo familiare, infatti tra la lista degli associati compaiono i nominativi dei figli dei due titolari: Salomone Enriques e Joseph Franchetti (per la famiglia Franchetti rimandiamo all’albero genealogico). Le sedi erano tre, a Tunisi, a Smirne e a Livorno; il centro era Tunisi, la città dove risiedevano i padri; a Smirne e Livorno si mandavano i figli.

E’ molto probabile che nella seconda metà del 700, la famiglia non si era ancora perfettamente integrata nella comunità ebraica di Tunisi, infatti era da poco immigrata da Mantova.

Livorno invece rimase niente di più che una filiale della casa madre tunisina, ma tutti i fratelli Franchetti, eccetto il primogenito Abramo, chiesto e ottenuto la ballottazione, cioè quell’aggregazione alla Nazione ebrea livornese, che conferiva al ballottato la qualità di suddito del Granduca, anche se di fatto la famiglia non prese domicilio stabile in città.

Nel 1794 terminò il sodalizio con gli Enriques e i Franchetti aprirono una nuova ditta proprio a Livorno, cominciando la loro integrazione nel mondo toscano del “negozio”. Livorno diventò dunque il centro della rete d’affari dei Franchetti.

A testimoniare la ricchezza accumulata dalla famiglia e la volontà di radicamento nella città toscana, sono anche gli acquisti immobiliari, tra cui un palazzo nella vicinissima Pisa.

La famiglia Franchetti si contraddistinse non solo nel mondo degli affari, ma anche nella sfera politico-istituzionale, con Isach nella veste di primo cittadino di livorno. Isach era quello che aveva vissuto più a lungo nella città livornese:arrivato qui per primo, appena adolescente, forse si era meglio integrato nella cultura locale, in un ambiente ebraico notevolmente diverso, com’ è facile immaginare, da quello nordafricano e levantino nel quale erano cresciuti la maggior parte dei suoi.

Oltre che grandi negozianti, i Franchetti erano anche banchieri e non a caso anche in questa veste la loro presenza non rimase limitata a Livorno, ma si estese precocemente a Firenze.

Vollero integrarsi a pieno titolo anche nel mondo della cultura, fino ad allora infatti le aule universitarie erano precluse agli ebrei. Così David Franchetti nel 1826 firmò una supplica al Granduca, perché concedesse al suo figlio Alessandro la grazia di potersi laureare in diritto civile.

Dalla seconda metà degli anni trenta iniziò il distacco della famiglia Franchetti da Livorno; ormai la comunità ebraica livornese iniziava a sfoltirsi a causa della crisi che colpì il commercio nella città toscana. Se Abramo e Isach avevano vissuto come sudditi del Granduca e membri della Nazione ebrea di Livorno, i loro figli erano diventati cittadini del Regno d’Italia e assunsero un titolo nobiliare, percorrendo con Leopoldo una carriera politica importante.

Leopoldo ottenne infatti il titolo di barone nel 1911, forse lo chiese come estremo omaggio alla moglie, Alice Hallgerten, che stava morendo in un sanatorio svizzero.

 

“La Scuola della Montesca:un progetto educativo, opera di Leopoldo e Alice Franchetti”

 

I coniugi ebrei, Leopoldo Franchetti e Alice Hallgarten, sono ricordati non solo per la storia della ricca e prestigiosa famiglia Franchetti, ma anche per l’intensa attività filantropica a cui si dedicarono. Addirittura Alice viene ricordata con l’appellativo di “fiammella francescana”. C’è dunque una forte spinta filantropica all’origine del progetto educativo della Montesca, che loro stessi realizzarono.

Dalla fine dell’ 800 fino alla prima metà del 900, si assiste allo sviluppo di una pedagogia dell’attivismo, si avverte la necessità di rinnovare la scuola, mettendo al centro del processo educativo il bambino e le sue esigenze. E’ in questo clima di rinnovamento che nascono “scuole nuove” appunto, come le New-Schools, le Ecoles des Roches e i Land-Erziehungsheime (case tedesche di educazione in campagna), che si diffusero poi in Europa e in molti paesi del mondo. Significativa apparve a questo proposito la scuola sperimentale di Dewey, annessa all’Università di Chicago. In Italia espressione delle tendenze riformatrici furono: la scuola materna di Rosa e Carolina Agazzi, la Casa dei bambini della Montessori, la scuola della Montesca e altre.

Fu il Senatore Leopoldo Franchetti ad istituire  nel comune di Città di Castello nelle frazioni di Montesca (anno 1901) e di Rovigliano (anno 1902) due scuole elementari miste con i corsi inferiori e superiori, gratuite e con refezione scolastica e dispose che in queste scuole si seguissero i metodi più moderni di insegnamento. Erano scuole per i figli di contadini, frequentate da una quarantina di alunni ciascuna.

La Scuola della Montesca fu definita come un “centro educativo internazionale” in seguito al conferimento del primo premio e della medaglia d’oro all’Esposizione Universale Internazionale di Bruxelles del 1910.

Alice Franchetti si contraddistinse per i suoi viaggi e i suoi studi, per i suoi contatti con pedagogisti illustri, da cui traeva consigli preziosi per costruire un metodo didattico da portare avanti alla Montesca. Dopo il suo viaggio in Inghilterra decise di attuare un programma di insegnamento centrato sulla coltivazione di orticelli.

La Montesca stava diventando un punto di riferimento e un luogo di incontro per educatori e pedagogisti italiani e stranieri. Anche la Montessori scelse questa istituzione per far conoscere il metodo educativo applicato nelle Case dei bambini.

Il nome di Alcie Franchetti non è legato solo a scuole per l’istruzione dei figli di contadini, perché si impegnò anche nell’organizzare corsi per valorizzare l’operato delle donne nelle famiglie: i Corsi di istruzione per la vita pratica femminile.

A proposito di Maria Montessori, la nota pedagogista tenne il suo primo corso di Pedagogia scientifica nel 1909 a Città di Castello, in casa del barone Franchetti. La Montessori ha riconosciuto che il compito della prima educazione infantile deve consistere nell’educare i bambini alla realtà. Come mezzo di educazione ci si avvarrà dello studio della natura, la cultura delle piante e degli animali, i liberi giochi froebeliani, il giardinaggio.

Possiamo concludere che la Scuola della Montesca era molto legata al metodo della Montessori e fu come abbiamo già sottolineato un centro di interesse internazionale.

 

 

GIORGIO LA PIRA

 

Giorgio La Pira nacque in un piccolo paese di pescatori a sud di Ragusa il 9 gennaio 1904. Primo di sei figli, rimase sempre profondamente legato ai suoi tre fratelli e alle due sorelle.

Suo padre, appuntato dei carabinieri, era anche uomo di fiducia del marchese Tedeschi.

E’ un bambino allegro, servizievole, avido di conoscenza. Nel 1914 i suoi genitori lo mandano a Messina per proseguire gli studi affidandolo allo zio Luigi, fratello della madre.

A dieci anni La Pira approda in una città ancora sconvolta dal terremoto del 1908, che cerca faticosamente di riprendersi.

Egli vive a Messina in un periodo di febbrile ricostruzione da parte di un popolo deciso a rialzarsi dalle macerie ad ogni costo.

Lo zio Luigi Occhipinti  vive in una baracca di legno con la moglie, i figli e due fratelli. Giorgio è ancora un bambino e aiuta come può.

Dotato di eccezionale intelligenza e di un temperamento appassionato, Giorgio è pronto a scaldarsi e a dare dell’imbecille a chiunque non condivida la sua visione del mondo.

I suoi peggiori avversari saranno sempre i piccolo-borghesi, gli “arrivati”, satolli e soddisfatti di sé. Gli artisti e i poveri diventeranno i suoi amici prediletti perché, come lui, sono capaci di illuminato stupore.

Dal 1914 al 1917 Giorgio frequenta la Regia Scuola tecnica di Messina, dal 1917 al 1921 segue i corsi di ragioneria presso l’Istituto Tecnico Antonio Maria Jaci. Lavoraper tutta la settimana, domeniche comprese, alzandosi alle 5 del mattino per aprire il magazzino dello zio; poche vacanze, poche feste, una vita di grande sacrificio. Ma c’è il mare, la bellezza della natura e soprattutto i libri. E Giorgio, che possiede una mentalità da cercatore, si tuffa nella lettura. A tredici anni conosce Salvatore Pagliatti e Salvatore Quasimodo che diventeranno i suoi migliori amici.

In una baracca, discutono di letteratura, poesia e politica. Leggono Dabte, Platone, la Bibbia, Tommaso Moro, Erasmo e gli scrittori russi come Dostoevskj. Poi passano agli scrittori francesi come Baudelaire, Mallarmè e Verlaine. Ben presto, però, si entusiasma per D’Annunzio e Blondel.

Collaborerà al giornale letterario “La Nave”. Nel 1921 ottiene il diploma di ragioniere. In quel periodo, Federico Rampolla, docente all’Università di Messina, se lo prende a cuore per convincerlo e aiutarlo a prepararsi alla maturità classica. Gli insegna il latino e il greco e gli permette di compendiare in un solo anno il ciclo degli studi secondari che si svolgeva normalmente in sei. Nel 1922 consegue la maturità classica e a novembre si iscrive alla Facoltà di Giurisprudenza dove incontra il prof. Betti. Le capacità dello studente La Pira impressionano i suoi insegnanti: il Betti gli proporrà di seguirlo a Firenze e di sostenere in quella sede la tesi di laurea.

La Pira ha scritto molto: ha parlato alle folle, ai grandi di questo mondo, agli amici e ai poveri. Gli scritti e i discorsi rappresentano una vera miniera di elementi importanti per la conoscenza organica del suo pensiero.

Nel 1926 segue il suo professore di Diritto Romano, Betti, a Firenze. La pena che lo accompagna in quei primi momenti di distacco dalla sua terra non è fugata neppure dal fascino che la bellezza della città esercita su di lui.

Nel corso della sua vita e del suo impegno al servizio della città, questo proposito di far coincidere per quanto possibile il mondo interiore e quello esterno nel rispetto della conoscenza di ciascuno, come pure una grande apertura al dialogo con chiunque si mostrasse interessato.

Nel 1934 diventa titolare della cattedra di Diritto Romano all’Università di Firenze: ha appena compiuto trenta anni. I primi passi nella vita pubblica non tarderanno molto e sarà possibile vedere quanto la sua personale esperienza di adolescente, cresciuto in una città devastata, testimone dell’indigenza dei più poveri, lo avesse segnato come professore, deputato, sindaco di Firenze, poi costruttore di pace nel mondo, difenderà costantemente i più deboli e minacciati.

Nel 1936 chiede ospitalità ai domenicani di Firenze: per  circa dieci anni abiterà in una piccola cella, umida e fredda, nel convento di San Marco. Poi la salute cagionevole lo costringerà ad accettare la proposta di un amico medico che lo ospiterà in una camera della sua clinica; morirà in una casa dedicata al servizio dei giovani.

La sua scelta consapevole fu, infatti, di vivere come un povero e di esserlo davvero. Gli basta l’indispensabile; il resto, la maggior parte del suo stipendio da professore, viene equamente distribuito agli indigenti fin dai primi giorni del mese. Scelse la povertà come Francesco di Assisi. Una povertà gioiosamente assunta perché fonte di libertà, indispensabile per vivere ogni momento secondo la volontà di Dio.

Giovane professore, trascorre le ore libere con gli amici della conferenza di San Vincenzo di Paoli nel soccorso dei poveri e nascondendo gli Ebrei, braccati dalla polizia. Un giorno don Bensi, un prete fiorentino, gli fa una proposta e nacque così l’idea della “messa dei poveri”.

Vinte le difficoltà immancabili di ogni cosa nuova, questo progetto divenne realtà e, infatti, una domenica del 1934 una quarantina di poveri erano radunati nella chiesa di S. Procolo per partecipare alla S. Messa.

La Pira restò fedele alla Messa nella chiesa della Badia, sul cui pavimento fu deposto il suo corpo all’indomani della morte, il 5 novembre 1977, e dove tutti i poveri suoi amici convennero per dirgli addio.

Il suo rapporto con la povera gente è unico nel suo genere, perché la accoglieva alla Messa senza ombra di paternalismo, rispettandone la dignità, facendola partecipare dei suoi progetti e chiedendone la preghiera per il buon esito delle sue iniziative.

Uomo impegnato, La Pira sottolineava l’importanza di essere presenti e di agire. Abbandonare un posto significa lasciare un vuoto che sarà irrimediabilmente occupato da un altro progetto o da altri punti di vista. Chi edifica la città dell’uomo, pensava riferendosi a Peguy,  costruisce in un certo modo un abbozzo della città di Dio. Ai costruttori come a chi semina, non mancheranno pene e fatiche immense.

Questo piccolo uomo dai neri occhi vivacissimi e arguti, dalla mimica espressiva, dai gesti eloquenti almeno quanti i discorsi, si rivolgeva con uguale semplicità ai grandi della terra come ai più derelitti.

Le sue origini meridionali lo portarono ad interessarsi in modo particolare di problemi dell’area mediterranea. Moltiplicò i contatti con i responsabili di Israele e dei Paesi arabi per spingerli al dialogo e all’intesa. Otto anni prima della conclusione della guerra in Vietnam, La Pira incontra Ho Chi Minh e porta con sé una proposta di pace che viene trasmessa al governo americano da Amintore Fanfani, all’epoca presidente dell’Assemblea delle Nazioni Unite a New York.

Gli americani non si fidarono e continuarono i loro bombardamenti e la guerra si concluse otto anni dopo alle stesse condizioni, ma al tragico prezzo di milioni di morti.

Come sindaco di Firenze La Pira dà la piena dimostrazione del suo valore. Fu eletto nel 1951, di nuovo nel 1956 con una strepitosa affermazione personale.

Dopo il memorabile convegno dei sindaci delle città capitali nel 1955, dette vita, dal 1958, ai Colloqui Mediterranei, che riunirono intorno allo stesso tavolo i rappresentanti delle grandi potenze e quelli dei Paesi in via di sviluppo.

Estromesso dopo lo scacco della sua missione vietnamita, La Pira scelse deliberatamente la compagnia dei giovani per aiutarli ad assumere le proprie  responsabilità nella nuova età del mondo che andava  ad aprirsi.

“Spes contra spem”: questo fu il suo motto e tale anche la lotta e la fatica di tutta la sua vita.

 

MISSIONE ALLA META’ DEL MONDO

 

Abbiamo avuto modo, inoltre, di guardare una videocassetta, che ci ha fatto vivere più in profondità gli insegnamenti di Maria Elisabetta Mazza e che ha favorito ulteriori riflessioni.

 

 

Le Piccole Apostole della Scuola Cristiana tra la gente dell’ Ecuador

Quito è la capitale dell’ Ecuador. Si trova a 2800 metri di altitudine. Il suo aereoporto è considerato il più pericoloso del mondo, infatti si trova al centro della città, vicino a dove i bambini giocano. A Quito si trova una Casa di Formazione delle Piccole Apostole sorretta da due insegnanti e da tre novizie. Si occupano di scuole (dalla Scuola dell’ infanzia alle medie), assistono malati e carcerati. Cercano di stare sempre dalla parte dei più poveri di dare pane a chi ha fame.

La loro maggiore preoccupazione è cercare un giusto equilibrio tra principi religiosi ed attualità.

 

Problemi di una storia

L’ Ecuador è stata una colonia spagnola dal 1526 al 1530. Ancora oggi la lingua ufficiale rimane lo Spagnolo.

Gli abitanti sono 11 milioni e mezzo di persone suddivisi in quattro zone molto diverse tra loro a livello socio-culturale. La popolazione è formata da meticci, creoli, neri ed indios.

Il tasso di natalità è piuttosto alto , ma 54 neonati su 100 non arrivano al secondo anno di vita. In media ci sono 3,7 figli per donna. Un milione e mezzo di minori sono sfruttati nel lavoro; un milione tra questi non hanno compiuto ancora i dieci anni di età. L’abbandono scolastico è alto; il 30% nelle zone urbane e gli analfabeti sono circa 800.000. L’ inflazione è del 45%-50%.

Il salario medio è di circa 300.000 Lire al mese. L’ economia è basata sull’agricoltura, ma la maggior parte dei raccolti (caffè, banane, tabacco, ananas) viene esportato verso i paesi più ricchi. La forza della Nazione è data dai giovani: la popolazione è infatti costituita principalmente da minori di quindici anni.

 

Intervento di Mons. Vicente Eguigeren

“L’ impegno e il lavoro delle Piccole Apostole sono testimonianza di carità della Chiesa Universale”.

Ringrazia di cuore l’opera di queste insegnanti , che è molto bella e molto grande. Porta in evidenza due grandi problemi : quello della povertà e quello dell’ estremo bisogno dei valori del Vangelo per lottere contro la corruzione.

Secondo Mons. Vicente il Vangelo è la grande medicina e il suo avvicinamento è un’ opera educativa.

 

Intervista a Padre Cirillo Tescardi –Giornalista Missionale-

“ La presenza delle figlie spirituali di M. E. Mazza è sicuramente il completamento della sua opera”. Loro hanno tutte le possibilità per realizzare ciò che riguardavano i suoi valori.

 

Ragazzi di strada

Ai bambini che si trovano nelle grandi piazze viene chiesto se vanno a scuola. Alcuni ridono imbarazzati, altri dicono semplicemente di no. Molti lavorano come lustrascarpe. Dormono dove capita, vagano nelle insidie della città che mostra loro il volto duro dell’emarginazione.

Si rifugiano nelle Chiese per poi tornare , dopo alcune settimane, dai villaggi che hanno lasciato per qualche soldo.

 

 

Intervista alle Piccole Apostole

Viene chiesto a tre ragazze Ecuadoriane il motivo per il quale sono rimaste affascinate da Maria Elisabetta Mazza.

Adriana risponde che M. E. Mazza le ha trasmesso la volontà di una ricerca continua ai voleri di Dio nella Scuola Statale nei bambini carenti di affetto.

Dal venerdì alla Domenica, le Piccole Apostole si recano ad Almedo, in un’ altra zona dove visitano gli ammalati, coordinano le liturgie, offrono il loro aiuto nelle attività ludiche e ricreative rivolte a tutti.

“Speriamo che si possa aprire una scuola seria”. Le persone sono molto pacifiche ; il loro ideale è quello di ricavare il più possibile dal loro terreno e semmai di far studiare i propri figli”

Tuttavia, il valore dello studio non è ancora entrato molto nella mentalità locale: coloro che frequentano le scuole medie sono molto pochi.

Le Piccole Apostole hanno aiutato una ragazza diciottenne ad acquistare una macchina tessile  e lei ha potuto dimostrare a se stessa e agli altri che qualcosa è possibile anche sulle Ande.

Tuttavia, le maglie prodotte le vengono pagate pochissimo , per poi essere rivendute a 300 volte di più. (questa verità viene tenuta dentro)

 

In volo per Esmeraldas

La città non fa niente per ammorbidire la povertà : il paesaggio presenta dimore di legno, frane, sporco, fango, polvere e bambini che giocano con la terra. La gente però sembra pacata, quasi serena con un sottofondo di musica Salsa, che è un loro modo di reagire e di far festa lo stesso.

Anche ad Esmeraldas, è stata costruita  una scuola dove vengono ospitati circa ottanta bambini.

Esmeraldas è la città “ diversa” perché popolata per la maggior parte da persone di colore.

 

Carcere di Saint Vainos

Il carcere di Saint Vainos è un carcere allucinante per i suoi orrori. Le suore cercano di ascoltare, di aiutare con piccoli gesti.

La vita dura per le detenute continua anche una volta fuori : i padri spesso sono spregiudicati e i figli possono essere già stati attratti dalla malavita.

I reati più comuni consistono nello spaccio, in furti e in contrabbando.

In questa carcere si trovano anche madri con i loro bambini che sono costretti a diventare grandi prima del tempo.

Il velo di tristezza dei loro occhi svanisce davanti alla macchina fotografica, ma svanisce solo per poco.

 

Terribile nino

Questo piccolo fiume, con le sue piene, provoca molte frane, già in passato, molte “cose” si sono sbriciolate . In quelle che erano strade, crescono erbacce.

Tutto il territorio è molto a rischio: molte famiglie hanno abbandonato il territorio, ma altre non ce la fanno.

 La speranza convive con la paura. La speranza , però, è così forte che la gente ha voluto ricostruire una cappellina dedicata a Dio Pellegrino dove nessuno fa fatica a pregare.

 

Intervento di Don Scotti Mons. Arellano

Dall’ agosto 1995 Mons. Arellano è vescovo di Esmeraldas.

-Dopo anni , qual è la sua impressione su questa città? –

“La Chiesa di Esmeraldas è povera , ma è piena di vivacità e di carisma”. Una di queste fonti di luce è rappresentata dalle Piccole Apostole. Il mio sogno è quello che la Chiesa sia come un Buon Samaritano con gli occhi aperti , le orecchie attente e le mani tese.

Don Scotti spiega che le risorse ad Esmeraldas sono abbastanza ( banane, gamberetti, petrolio, oro ) ma tutti riescono ad arricchirsi, escluso gli abitanti della città.

Per gli abitanti di questa terra la grande ricchezza è la gioia di vivere. Non esiste stress.

Don Scotti racconta di essere rimasto colpito dalla serenità e dal clima di festa che inondava  una sua Messa celebrata  per ventitre’ famiglie  che avevano e che erano rimaste senza nessuna dimora. –Nella misura in cui amiamo i poveri, impariamo ad amare la vita-

 

Povertà ed ingiustizie

 Le malattie più diffuse sono la tubercolosi, la malaria e la peste bubbonica.

Questa gente ha una grande carica di vita, ma c’è chi , costretto a bere l’ acqua del fiume , si abbandona all’alcool, sente il bisogno di avere un senso di appartenenza ad un nucleo famigliare, patisce la fame, è rinchiuso  in carceri sovraffollate, non ha prospettive…

 
                      

                                                      “Nessuno di noi si senta tranquillo

                                                        finchè c’è in Ecuador

                                                        un bambino senza scuola,

                                                        una famiglia senza abitazione,

                                                       un operaio senza un lavoro,

                                                       un ammalato o un anziano

                                                       senza adeguata assistenza”

                                                                               Giovanni Paolo 2’

 

 

Tutto ciò che è stato riportato riesce a dare un’ immagine di quello che è l’ Ecuador e  la sua gente. Tuttavia, le parole associate all’ immagini  rendono , se non vicino a noi , più vicino al nostro cuore i loro sentimenti, la loro disperazione ed il loro coraggio. Vedere davvero persone che ballano  con vesti colorate e luce negli occhi nel momento in cui avevano perso tutto ciò che avevano, è stato strabiliante. Cosa mai potevano festeggiare? - Probabilmente la semplice, ma quasi inafferrabile essenza della vita...

Invito tutti voi a poter fare tesoro di queste scene.

 

 

ABBIAMO LETTO ANCHE IL LIBRO “MISSIONE ALLA META’ DEL MONDO” E QUESTE SONO LE NOSTRE IMPRESSIONI

 

La testimonianza delle Piccole Apostole della Scuola cristiana, comunità religiosa fondata dalla maestra bergamasca Maria Elisabetta Mazza, richiama alla tematica dell’intercultura.

I racconti, le parole, le speranze delle Missionarie in Ecuador, sono stati raccolti nel libro “Missione alla metà del mondo” da Roberto Alborghetti.

Queste pagine vogliono accompagnarci e farci vivere come da vicino il mirabile operato delle Piccole Apostole in Ecuador: nei barrios di Esmeraldas, tra i villaggi dei campesinos sulle Ande, tra i quartieri metropolitani di Quito.

E’ un viaggio in uno Stato situato alla metà del mondo, stretto tra i due emisferi ma tremendamente isolato e abbandonato alla povertà e alla miseria.

La missione delle Piccole Apostole è quella di portare in Ecuador il Vangelo e la scuola, che significa crescita ed educazione, ai più poveri, ai ragazzi senza casa, senza cibo e senza amore.

Le testimonianze di vita dei missionari ci immergono in quella cruda realtà, devastata da mille problemi: calamità naturali, inettitudine dei governi, inefficienza sanitaria, emergenza idrica ed elettrica…

Realtà agghiaccianti che ci lasciano senza fiato: bambini abbandonati a se stessi nelle strade, senza un futuro e spesso destinati alla malavita, gente senza un’abitazione o costretta a vivere in capanne e baracche, presenza di piaghe quali la droga, l’alcolismo, la prostituzione…

Questi racconti di vita vera, vissuta, ci rendono sensibili verso questi popoli lontani, dei quali le Piccole Apostole ci rendono testimonianza, che Roberto Alberghetti riesce a narrarci in uno stile semplice e immediato, da grande giornalista quale è.

 

Durante il nostro percorso didattico del secondo anno abbiamo avuto molte buone occasioni per confrontarci con l’ambiente esterno che ha permesso di accrescere la nostra creatività individuale e confermarci nella consapevolezza che insieme possiamo vedere oltre.

 

IL NOSTRO PERCORSO NEL TEMPO E NEI LUOGHI

 

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“Amerigo Vespucci:                      “Beautiful Minds”                 “Misurare e rappresentare             “Africani in Africa”

un uomo, un continente                     21/12/2004                         il mondo: da Vespucci                         01/03/2005

    12/10/2004                                   Palazzo Strozzi                        alla modernità”                                 Palazzo Pazzi -

Palagio di Parte Guelfa                                                                       18/01/2005                                        Ammannati

                                                                                                       Istituto geografico

                                                                                                              Militare

 

MOSTRA “BEAUTIFUL MINDS”

PREMI NOBEL

UN SECOLO DI CREATIVITA’

(Firenze, Palazzo Strozzi, 16 settembre 2004 – 2 gennaio 2005)

Creatività individuale e ambienti creativi

La mostra “Beautiful Minds”  ci ha insegnato come la cooperazione e lo scambio nei vari campi del sapere (economia, letteratura, politica…) possano portare a costruire qualcosa di utile per tutta l’umanità.

L’individuo mostra capacità creativa quando ha il coraggio di pensare in direzioni diverse, mettere in discussione teorie consolidate e combina in maniera nuova conoscenze appartenenti a settori diversi.

Al tempo stesso, gli ambienti creativi sono importanti luoghi di incontri spontanei e di discussione che favoriscono la libera espressione e lo sviluppo della creatività.

Partendo da questi presupposti, la mostra è stata particolarmente significativa per il nostro percorso, poiché nel nostro piccolo gruppo compiamo ciò che viene fatto dai “grandi”: mettere insieme forze e menti diverse al raggiungimento di uno scopo comune, cercando di creare un qualcosa di unico frutto di persone diverse.

Ci ha particolarmente coinvolto il concorso allegato alla mostra, il “Premio Nobel alla Memoria”. Infatti, il premio Nobel ha poco più di cento anni ma, nella storia dell’uomo, numerose sono le persone che avrebbero meritato di essere insignite di tale premio. A questo scopo, il concorso chiede ai visitatori di proporre alcuni nomi di personaggi importanti deceduti prima dell’istituzione del Premio Nobel (1901). Nel nostro gruppo così si sono accesi ampi dibattiti e c’è chi ha candidato Gesù di Nazareth, chi Marx, chi Dante…

Ci siamo anche appassionati alla figura di Alfred Nobel e ciò ci ha portati anche a leggere il suo testamento in cui istituiva il Premio Nobel (che alleghiamo).

Questa esposizione è stata oltretutto importante poiché quella di Firenze è l’unica tappa italiana dell’itinerazione: un motivo in più per essere orgogliosi di aver partecipato con entusiasmo a tale evento.

 

MOSTRA “AFRICANI IN AFRICA”

Arte contemporanea Africana dalle origini tribali al Nuovo Grafismo e all’arte popolare

(Firenze, Palazzo Pazzi – Ammannati, 29 dicembre 2004 – 6 marzo 2005)

Mostra creata a cura di Luca Facenda e Marco Parri

 

La mostra “Africani in Africa” fa parte di un evento di più vasta portata, dal titolo “L’Africa in Toscana”, promosso dalla regione in collaborazione con il comune di Firenze. Lo scopo dell’evento è sintetizzato nella breve frase di introduzione: “Oggi, nella fase della globalizzazione e delle grandi migrazioni, dei nuovi fenomeni di creolizzazione culturale, l’incontro tra le culture disegna nuovi scenari di civiltà. L’Africa è sempre più presente nella realtà dell’Occidente, anche in Toscana. La grande madre della specie umana può essere ascoltata di nuovo, e in modo nuovo, grazie soprattutto agli africani, anche ai loro artisti di ieri e di oggi”.

Partendo da questi presupposti, la mostra ha rivestito un interesse fondamentale per il nostro studio sull’intercultura, poiché mirava a far superare gli stereotipi verso le culture “altre”.

Abbiamo potuto ammirare oltre 130 opere di venti artisti di una dozzina di stati dell’Africa equatoriale, mettendo così in scena la più grande storia africana mai rappresentata in Italia negli ultimi quaranta anni.

 Siamo stati compiaciuti di aver avuto la fortuna di poter parlare con i due artefici della mostra, gli architetti Luca Facenda e Marco Parri, con i quali abbiamo avuto un intenso confronto e dialogo. Abbiamo scoperto così che la validità di questa mostra si fonda sulla professionalità di persone che non hanno nessuna pretesa di imporre il loro punto di vista, ma di confrontarsi, apprendere per poi donare agli altri la propria esperienza.

 

 

LA FIGURA DI AMERIGO VESPUCCI E LE MOSTRE A LUI DEDICATE:

“AMERIGO VESPUCCI: UN UOMO, UN CONTINENTE” (Palagio di Parte Guelfa)

“MISURARE E RAPPRESENTARE IL MONDO: DA VESPUCCI ALLA MODERNITA’ (Istituto geografico Militare)

 

Un personaggio ha fatto da filo conduttore per le nostre esperienze didattiche. Infatti, per coincidenza casuale di tempo, la prima e la terza nostra visita erano dedicate al navigatore fiorentino Amerigo Vespucci.

La prima uscita di questo anno universitario ci ha condotto al vicino Palagio di Parte Guelfa dove abbiamo visto la mostra ”Amerigo Vespucci: un uomo, un continente”. Siamo rimasti colpiti dai video che mostravano l’esperienza del viaggio verso l’America sia di Colombo che di Vespucci, quest’ultimo più fortunato del Colombo, poiché dal suo nome è venuto fuori il nome America. Così, facendo un parallelismo, anche noi, come Vespucci, ci sentiamo esploratori arditi di nuove didattiche.

La seconda mostra che abbiamo visto dedicata alla figura di Vespucci è stata “Misurare e rappresentare il mondo: da Vespucci alla modernità”. Da una breve indagine è emerso che nessuno aveva visitato questa importante realtà dell’Istituto Geografico Militare che è l’unico ente cartografico dello stato. Ci hanno piacevolmente colpito gli ambienti e ci siamo trovati coinvolti nell’itinerario della nostra guida colonnello Elio Ruggiano, dotato di una grande professionalità e capacità comunicativa. Dal suo modo di porsi, ci è venuto spontaneo notare come l’Istituto Geografico sia parte della sua vita e della sua quotidianità.

Graditissimo il dono del calendario che riporta, giorno per giorno, alcuni avvenimenti storici.

 

 

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